C’è un po’ di Italia nel record fatto segnare questa notte a New Orleans, Louisiana. Basta sentir parlare Kobe Bryant nella nostra lingua: a tanti anni di distanza sembra quasi un madrelingua. Da questa notte il figlio di Joe “Jellybean” – cinque stagioni nel nostro Paese con le maglie di Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia – entra a far parte del 30.000 points club, come lo chiamano negli Stati Uniti. Cosa significhi è semplice: sono quei giocatori che nella NBA hanno realizzato almeno tale quota di punti. Per capire la portata dell’impresa è sufficiente dire che finora ad esserci riusciti sono in cinque; e che Kobe Bryant, centrando la cifra a 34 anni, 3 mesi e 14 giorni, è il più giovane di sempre a iscriversi al club. Gli altri? Nomi da leggenda: Kareem Abdul-Jabbar (già Lewis Alcindor, nome con il quale vinse un anello a Milwaukee prima di trasferirsi proprio ai Lakers dello Showtime e dominare la Lega insieme a Magic Johnson), poi Karl Malone (che il titolo non l’ha mai vinto solo per dettagli), quindi Michael Jordan (non c’è bisogno di presentazioni) e infine Wilt Chamberlain, un signore capace di chiudere una stagione con più di 50 punti e 25 rimbalzi di media, Mr. 100 points (a Philadelphia), impresa di cui purtroppo oggi si possiede solo una foto di Wilt che mostra un foglietto con scritto a penna “100”. Altri tempi. Che Bryant avesse centrato il record questa notte era cosa scritta a meno di un evento irripetibile: per uno che segna 28 punti di media ancora a 34 anni, raggiungere quota 13 era una formalità. Avvenuto, puntualmente: un minuto e diciassette secondi per chiudere il primo tempo, i Los Angeles Lakers sono sotto 40-45 sul campo degli Hornets. Metta World Peace serve in punta Chris Duhon, che ribalta subito sul lato debole per Bryant. Il numero 24 gialloviola punta Al-Farouq Aminu, lo lascia sul posto, entra in area e in sospensione manda a canestro evitando la stoppata in aiuto di Robin Lopez. Alla fine i Lakers vincono 103-87 e Bryant chiude la sua partita con 29 punti (10/17 al tiro), 6 rimbalzi e 4 assist; e il record dei 30.000 punti. Commento a fine partita: “Sono onorato, ho avuto la fortuna di essere allenato da grandi allenatori e di giocare in grandi squadre”. Verissimo; ma sappiamo bene che dentro di sè Kobe sa di essere uno dei più grandi della storia. Lo dice la sua carriera, fatta di 17 stagioni con 5 titoli e 2 finali perse, un MVP della regular season e due delle Finali. Del resto, la sua forza è sempre stata questa: un ego e una voglia di vincere fuori dal comune, che lo accomunano in personalità a una leggenda vivente come Michael Jordan. Che ha vinto un titolo in più del 24 gialloviola, ed è questo il traguardo di Bryant: mettersi al dito quel sesto anello, così da poter dire “Ho vinto quanto lui”. In una Lega nella quale le statistiche, i campionati vinti e i numeri sono tutto, non sarebbe una cosa secondaria. Detto che Los Angeles è comunque in difficoltà in questa stagione (9 vinte e 10 perse in attesa del ritorno di Steve Nash), ora tutti si chiedono dove ancora può arrivare Kobe Bryant:
Raggiungere i primi due della classifica per punti segnati è pressochè impossibile (Jabbar è a quota 38.387, Malone si è fermato a 36.928), ma già in questa stagione Kobe ha la possibilità, tenendo una media di 21.7 punti a partita – cioè pienamente nelle sue possibilità – di superare Wilt Chamberlain; e l’anno prossimo (sarà sicuramente ancora in campo) andrà a prendere e staccare anche His Airness Jordan. Da ragazzino Bryant sognava di vincere il titolo NBA sopra ogni cosa: ne ha vinti 5. Non ha mai parlato di punti segnati, ma le leggende raccontano che al College il figlio di Jellybean facesse apposta a giocare male e lasciare la sua squadra indietro nel punteggio così da poter rimontare e vincere da solo le partite; ecco perchè la sua iscrizione nel club dei 30.000 punti lo rende particolarmente felice. In attesa del sesto anello, ma quella è un’altra storia. A ben guardare, molto più complicata.
(Claudio Franceschini)