L’assenza di autonomia energetica e la conseguente necessità di approvvigionarci all’estero è uno dei più significativi problemi economici e di sicurezza dell’Italia. Restiamo il Paese al mondo energeticamente più dipendente dall’estero. Nonostante il contributo delle fonti rinnovabili, che hanno ormai raggiunto gli obiettivi di produzione attesi, continuiamo infatti ad avere forte bisogno di olio e gas straniero: per questi due combustibili (essenziali per viaggiare, produrre, scaldarsi) dipendiamo dall’estero per oltre il 90%!
Come ricorda il sito del ministero dello Sviluppo economico, in Italia sono presenti circa 1000 pozzi produttivi di idrocarburi, di cui 395 in mare: 777 pozzi producono gas, mentre i restanti 233 olio; le produzioni annuali di gas (8 GSm3) e olio (5 Mton) coprono rispettivamente il 10% e il 7% del fabbisogno energetico nazionale. Siamo veramente una terra così povera di risorse minerarie? Purtroppo sì, ma altri giacimenti sono accertati e si potrebbe facilmente almeno raddoppiare la nostra produzione nazionale. Tuttavia, dai tempi di Mattei, cioè da oltre 50 anni, non si “trivella” più nulla nel nostro Bel Paese, anche se l’Italia è riconosciuta come la migliore industria di tecniche per idrocarburi al mondo. Un enorme torpore, ma qualcosa nel più recente passato si è mosso.
Dopo un percorso di attenta valutazione durato tre anni, lo scorso luglio sette imprese hanno infatti ricevuto il nulla osta per progetti di prospezione per cercare idrocarburi in mare, nell’Adriatico e nello Ionio. Su tutto questo si è però eccitata, a livello locale, un’onda anomala di indignazione, politica e popolare.
Il permesso di ricerca di idrocarburi, liquidi o gassosi, è rilasciato alla compagnia petrolifera a seguito di un procedimento che inizia con la selezione dei progetti effettuata dal ministero dello Sviluppo economico, sentito il parere dell’organo consultivo Cirm, nell’ambito della quale sono rappresentate le amministrazioni statali competenti (ministero dello Sviluppo economico, ministero dell’Ambiente e della tutela del mare, ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, Ispra, Avvocatura dello Stato), oltre che i rappresentanti regionali. Ne segue poi la valutazione di Impatto ambientale e dei Beni culturali.
La prospezione è la tecnica utilizzata per localizzare e dimensionare con precisione i giacimenti di gas nel mare: le attività prevedono il passaggio di navi attrezzate su una determinata estensione di mare per l’acquisizione di “linee sismiche” mediante tecnologia “air-gun”, che consente di comprendere l’estensione e la natura delle strutture geologiche. La conoscenza della struttura geologica è infatti l’elemento determinante per decidere se e come realizzare i pozzi per l’esplorazione e la coltivazione degli idrocarburi.
A tutto ciò le Regioni prospicienti si stanno opponendo in maniera determinata e accanita, specie i Governatori di Puglia, Molise, Calabria, Marche e Basilicata. Tra le forze parlamentari, il Movimento 5 Stelle sta compiendo su questo tema una grande azione politica. Val la pena considerare le motivazioni che adducono i rappresentanti parlamentari di quel movimento a “non investire in giacimenti gas e idrocarburi”, che sono principalmente tre: i rischi sismici, cioè l’imprevedibilità dell’attività tellurica e vulcanica sotto la crosta terrestre, con rischio danni a impianto e quindi rischi popolazione; l’impatto negativo sull’integrità dei siti marini e l’immagine ad alto valore naturalistico e del turismo internazionale; la scarsa dimensione dei giacimenti.
Partendo da queste osservazioni, i “grillini” propongono di conseguenza di rivedere il complesso delle autorizzazioni per la ricerca in mare e chiedono che sia acquisito il parere degli enti locali in relazione alle istanze di rilascio di titoli minerari. Chiedono inoltre di valutare quale sia l’effettiva produttività dei giacimenti in esercizio e di assicurare che le imprese responsabili reperiscano le risorse necessarie a finanziare le attività di decommissioning. Infine, propongono l’innalzamento delle royalty sulle attività estrattive e sulle concessioni di coltivazione in mare. Tutte considerazioni e proposte ragionevoli, tanto che tali prescrizioni sono di fatto presenti e formalmente già rispettate e, se non lo fossero secondo i livelli desiderati, facilmente si potrebbero modificare.
Tra l’altro severe norme e prescrizioni internazionali regolamentano molteplici ulteriori aspetti ambientali che consentono, ad esempio, di mantenere a livelli insignificanti i rischi acustici per la fauna (cetacei e testuggini), le interferenze con le attività di pesca, i nessi con le origini della micro sismicità, ecc. Insomma, i rischi si possono gestire o contenere e le analisi costi-benefici mostrano la validità di questi investimenti. Ma tutto resta insabbiato e probabilmente non se ne farà nulla.
Nel frattempo si preparano a trivellare i paesi prospicienti sul lato opposto dell’Adriatico e soprattutto gli operatori se ne vanno a investire altrove, davanti a Cipro, Israele, Turchia. Per non parlare dell’enorme giacimento di fronte alle coste egiziane che metterà una pietra tombale sulle trivelle di casa nostra.
(Felice Maratona)