Caro direttore,
Il card. Bagnasco ha definito quanto successo in regione Lazio in modo netto e chiaro: “una vergogna”. Non mancano certo le parole, cariche di rabbia, per commentare ciò che è accaduto e che in questi giorni, in maniera quasi brutale, emerge dalle pagine dei giornali. Si è oltrepassata ogni decenza persino nel deteriore spettacolo delle accuse reciproche che danno l’idea di un partito, il Pdl laziale, sconvolto da faide interne. La governatrice Renata Polverini, bisogna dargliene atto, è intervenuta con la fermezza che ogni politico dovrebbe mostrare in situazioni del genere. Dimostrando, se ancora c’è ne fosse bisogno, che non si tratta di un problema di regole, ma di volontà e responsabilità politica.
Eppure, tutte le parole di condanna, così come le azioni messe in atto in questi giorni, non bastano per spiegare qualcosa che agli occhi dei cittadini appare tanto deprecabile quanto inspiegabile. La magistratura farà il proprio lavoro e ci indicherà colpevoli e punizioni. Chi ha sbagliato deve pagare e non devono esserci scorciatoie. Ma una domanda resta come sospesa in questo scenario da basso impero: come è stato possibile? Veramente non si poteva intervenire prima per fermare questo scempio delle istituzioni?
In questi giorni la Camera è stata chiamata ad esprimersi sulla possibilità che i bilanci dei partiti vengano certificati da società di revisione esterne. Un gesto sicuramente importante ed è un bene che, dopo un primo momento di confusione, i partiti abbiano deciso, all’unanimità, di votare a favore di questo tipo di controllo. Ma siamo veramente certi che basti? E, soprattutto, che Paese è quello che ha sempre bisogno di affidarsi solo all’inasprimento delle regole per impedire che le patologie dilaghino? Ugo Sposetti, amico e storico tesoriere dei Ds, in un’intervista a Repubblica ha detto in maniera molto semplice: «neanche Gesù può impedire a uno di rubare». Credo che, mai come ora, occorra fuggire dalla tentazione, descritta mirabilmente da Eliot, di «sognare sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono». Dovremmo piuttosto preoccuparci di educare gli uomini ad «essere buoni». Questo è, secondo me, il tema centrale. Se c’è una cosa che il caso Fiorito, così come quelli degli ultimi mesi, hanno evidenziato, è l’emergenza educativa che tocca qualsiasi segmento della società. A cominciare dalla politica.
Occorre testimoniare che è possibile fare politica come servizio al bene comune, che la politica «è la forma più alta di carità che l’uomo possa compiere». Ritorno a quel collegamento stretto tra politica e società civile, luoghi dove ognuno di noi possa essere educato al servizio della propria comunità. Io sono stato educato a questo e continuo ad esserlo.
Abbiamo bisogno di partiti che selezionino la propria classe dirigente, di percorsi seri di formazione che insegnino anzitutto questo, che rendano evidente qual è lo scopo per cui è importante impegnarsi in prima persona e i valori che ciascuno rappresenta. Questa è la vera sfida anche per il Pdl! Mi auguro che i mesi che ci separano dalla prossima competizione elettorale siano un’occasione per favorire questo percorso e non una guerra (tra i partiti così come al proprio interno) all’ultimo sangue.
Di qualunque schieramento si faccia parte, quali che siano le proposte di governo che si intendono proporre, prendiamoci lo spazio che serve per riflettere su cosa significa per ciascuno di noi costruire il bene comune. O lo facciamo, o questo momento sarà servito solo per piangersi un po’ addosso e fare una bella operazione di maquillage, senza affrontare quella che è la vera emergenza. E il prossimo caso-Lazio sarà solo questione di tempo.