Terzo produttore mondiale di macchine utensili, Prima Industrie è leader nei sistemi laser e nelle macchine per la lavorazione della lamiera. Il Gruppo, con sede a Collegno (TO), comprende Prima Power e Prima Electro e vanta oltre 1500 dipendenti, stabilimenti produttivi in Italia, Finlandia, Stati Uniti e Cina, e una capillare rete di vendita e assistenza in oltre 70 paesi. Grazie alla sua tecnologia è stata forgiata la fiaccola olimpica di Londra 2012, vero gioiello prodotto con una fantastica combinazione di robotica e fotonica. Dopo un periodo complesso, l’azienda ha ripreso a macinare utili ed è tornata ai livelli pre-crisi. Al vicepresidente, Domenico Appendino, da poco rientrato dalla Cina (e subito ripartito), abbiamo chiesto di raccontarci le prossime mosse del gruppo.
La fiaccola olimpica di Londra 2012, prodotta con la vostra tecnologia, vi ha dato una visibilità planetaria. Che ritorni avete avuto?
Per sei mesi la torcia è andata sulle tv e sui media di tutto il mondo, ma è molto difficile quantificare gli effetti di un fenomeno del genere. Certo, chi l’ha vista ha potuto rendersi conto dell’elevata tecnologia costruttiva che sta alla base di un oggetto sofisticato come questo. E questo è successo con il grande pubblico, non solo con gli operatori dei settori produttivi a cui normalmente ci rivolgiamo con la nostra comunicazione pubblicitaria e istituzionale. La torcia, per la sua concezione e realizzazione, è un prodotto che necessita di macchine e sistemi per produrre molto avanzati, con livelli di precisione e qualità di taglio elevatissimi, tipici di una tecnologia che solo pochissime aziende possiedono oggi nel mondo. Spero che il grande pubblico abbia ricevuto il messaggio forte e chiaro che Prima Industrie è una di queste.
Dalle Olimpiadi è trascorso un anno, com’è andata nel frattempo Prima Industrie?
Partiamo dai numeri:nel 2008, prima della crisi, avevamo un fatturato di circa 367 milioni di euro, poi la crisi del 2009 ha investito tutti i produttori di macchine utensili, tedeschi compresi, dimezzando a tutti il fatturato. Noi siamo scesi intorno ai 250 milioni, facendo comunque meglio della media, ma non era una situazione facile.
Poi cos’è successo?
Il biennio 2010-2011 è stato molto positivo e nel 2012 siamo tornati a fatturare 350 milioni. Il nostro personale, che era stato ridotto anche per effetto della ristrutturazione seguita all’acquisizione di Finn-Power passando da 1700 a 1400 unità circa, è di nuovo cresciuto a partire dal 2011 raggiungendo ora il numero di 1525 unità. Solo in quest’ultimo anno, infatti, abbiamo incrementato di 80 unità il nostro numero di addetti. E, altro dato importante, anche l’utile netto, che nell’anno record del 2008 era stato di 5,5 milioni di euro, dopo anni di flessione è tornato sui livelli pre-crisi, superando i 5,3 milioni.
Più dell’80% del vostro fatturato viene dall’estero. Contate di crescere ancora?
Continueremo a seguire con determinazione la strada che porta all’internazionalizzazione, politica che riteniamo essenziale e assolutamente determinante. L’internazionalizzazione non è una scelta da incentivare ad anni alterni, va spinta in modo continuo, anche attraverso le numerose iniziative e missioni organizzate da Ucimu, la nostra associazione, che fornisce in modo costante il suo prestigioso e autorevole contributo. Nel 2012, per la prima volta, Prima Industrie ha fatturato solo il 13% in Italia e il 36% negli altri paesi europei, cioè il 49% in Europa. Il restante 51% si divide tra America con più del 23% e in Asia e nel resto del mondo con il 28%. Una fotografia emblematica di come puntare a tutti i mercati, lontani e vicini, tradizionali ed emergenti, sia oggi vitale, in quanto ci sono paesi in cui gli investimenti di settore sono ancora ingenti e la nostra ”vecchia” Europa non è ormai più sufficiente a garantire da sola un mercato abbastanza grande per un’impresa globale come Prima Industrie e le altre della nostra associazione.
In Italia ci sono segnali di ripresa per il vostro settore?
Non moltissimi per la verità, ma bisogna considerare la scena nel suo complesso; i fattori abilitanti sono parecchi, non tutto è imputabile alla crisi: è vero che l’Italia evidenzia calo di consumo, al contrario di altre aree del mondo (il 48% delle macchine utensili è oggi assorbito dalla Cina) che rilevano una domanda di macchine utensili in crescita costante, il che ci ha fatto scivolare all’ottavo posto nel ranking mondiale dei consumatori; ma questi paesi stanno attraversando una fase storica differente, una fase che noi abbiamo già vissuto. Per rilanciare il nostro consumo dobbiamo sviluppare nuove idee, nuovo valore, pensare a un manifatturiero diverso, moderno.
Si aprono prospettive con il nuovo governo?
Il nuovo governo sembra voler fare le cose con grande serietà e sinceramente lo speriamo fortemente. Di recente è stato presentato un provvedimento molto simile alla vecchia legge Sabatini che potrebbe rilanciare tutto il comparto, però bisogna che il governo operi in fretta e soprattutto non commetta l’errore accaduto in occasione dell’ultimo rifinanziamento della Sabatini, quando a furia di parlarne tanto, e soprattutto molto prima dell’attuazione, si è generato un blocco degli ordini, rimasti in standby per mesi, in attesa che il provvedimento entrasse in vigore.
L’anno scorso avete siglato un accordo con una società giapponese, la Amada. Cosa prevede l’intesa?
Amada è stato nel passato un nostro partner e siamo legati da reciproca stima e rispetto. Pur essendo un’azienda concorrente, questo legame ci ha consentito di siglare un accordo perché molti comparti non ci vedono in competizione. La collaborazione è nata da una duplice esigenza: la nostra di sfruttare la loro presenza su un mercato notoriamente chiuso come quello giapponese, e la loro di avere una nuova generazione di macchine pannellatrici. Insieme, fondendo il meglio della tecnologia italiana e di quella giapponese, abbiamo sviluppato questa innovativa gamma, che verrà prodotta in Italia, a Cologna Veneta, e sarà venduta in tutto il mondo sia da noi che da Amada. Inoltre, abbiamo trasferito questa la tecnologia ad Amada solo per il mercato nipponico, dove nel nostro settore “se non sei giapponese” non vendi.
Che risultati sta dando la partnership?
Ci sono vantaggi per entrambe le aziende, per noi in particolare l’aggiunta di un mercato per questa gamma, quello giapponese e l’aumento della copertura ovunque. Poi con Amada potrebbero nascere nuove collaborazioni sempre in settori dove non siamo in concorrenza e dove una sinergia potrebbe essere utile a entrambi.
Dove contate di crescere ancora?
Stiamo vendendo in più di 70 paesi del mondo, praticamente tutti quelli dove si possono vendere prodotti avanzati come i nostri. Ovviamente cerchiamo di aumentare il nostro share nei mercati in cui siamo presenti e guardiamo con un certo interesse ad alcune aree emergenti dell’Asia, come il Vietnam e l’Indonesia.
Che prospettive di sviluppo avete?
Il progetto più importante che abbiamo in questo momento è quello di localizzare sul territorio cinese la produzione di macchine standard per il mercato asiatico. Abbiamo deciso di essere presenti direttamente, non più solo con una joint venture “second brand” produttrice di macchinario di gamma più bassa, per coprire una nuova fetta di mercato che va ad aggiungersi a quella dei nostri attuali prodotti.
Che caratteristiche ha questa fascia di mercato?
In Oriente c’è una richiesta di prodotti di gamma media più alta di quelli che vengono oggi prodotti dallo stabilimento in joint venture che abbiamo in Cina. Una richiesta che potremmo soddisfare dall’Europa o dall’America ma con tutt’altri costi e quindi non compatibili con questi mercati. Continueremo ovviamente a vendere macchine di gamma alta da produzioni europee e americane ma con questa iniziativa intendiamo raggiungere e soddisfare una fascia di mercato ora da noi non coperta.
Che fine farà la joint venture?
Noi stiamo riducendo la nostra quota azionaria in quanto intendiamo presentarci al mercato con il nostro marchio di azienda leader anche in questo settore e non soltanto come “second brand”, peraltro di grande successo. La joint venture continuerà a vendere i suoi prodotti e noi continueremo a fornirle i componenti per un prodotto che è di gamma più bassa e che copre e coprirà un mercato in gran parte diverso da quello coperto dal nostro marchio Prima Power.
Che tempi avete?
Abbiamo individuato la sede ed entro fine anno sarà avviata la costruzione dello stabilimento nei pressi di Shanghai. Vogliamo fare un’azienda totalmente conforme ai nostri standard di qualità, che sarà la base produttiva di Prima Industrie in oriente. L’unità potrà poi ancora crescere, anche se lo stabilimento parte già con dimensioni importanti, prevedendo già il progetto 9000 metri quadri coperti.
La sua azienda investe molto in ricerca e sviluppo. Con il Politecnico di Torino state studiando un laser di nuova generazione. A che punto siamo con il progetto?
Abbiamo un prototipo funzionante e stiamo lavorando alla fase di ingegnerizzazione per portare questo laser in fibra a un grado di affidabilità e a un costo tali da renderlo competitivo con quanto oggi c’è sul mercato e che noi acquisiamo dall’unico vero fornitore e montiamo sulle nostre macchine. Ricerca e sviluppo sono stati da sempre, e sono tuttora, la linfa vitale del nostro gruppo.