L’Italia, come e più di altri paesi del mondo occidentale, attraversa una fase di trasformazione economico-finanziaria che sta ridefinendo tutti gli asset della società. La crisi, nella sua eccezionalità, prima o poi passerà, ma il Paese che ne uscirà non potrà mai essere più lo stesso. Alcune attività saranno “out” per sempre, ma nasceranno nuove aree di studio, nuove opportunità di sviluppo, nuove chance imprenditoriali: l’Italia dovrà affrontare la partita del riposizionamento economico e industriale. Una partita che spingerà il Bel Paese a utilizzare al meglio le risorse che non solo lo rendono competitivo, ma che lo vedono leader nel panorama mondiale. Il principale, più antico e prestigioso patrimonio che l’Italia possiede è sicuramente la cultura. La cultura del bello, delle tradizioni, del gusto, dell’arte, di tutto quello che gli antichi ci hanno lasciato in eredità e che oggi chiamiamo beni culturali, quello che fa dell’Italia il Paese col più alto numero di siti Unesco. Il progetto “La Cultura motore dell’Economia”, dello Studio Tomasin Commercialisti, prova ad anticipare i tempi. Giancarlo Tomasin, titolare dello studio, ci spiega di cosa si tratta.
Dottor Tomasin come nasce questo progetto?
L’Italia possiede un numero di beni e siti culturali pari, grosso modo, a quello di tutto il resto del mondo e non si tratta soltanto di beni culturali materiali. Secondo quanto emerge dal Rapporto 2012 sull’Industria culturale in Italia, “L’Italia che verrà” elaborato da Symbola e Unioncamere, la cultura genera il 5,4% della ricchezza prodotta nel Paese, equivalente a quasi 76 miliardi di euro e dà lavoro a 1 milione e 400 mila persone, il 5,6% del totale degli occupati in Italia. Se si allarga lo sguardo dalle aziende che realizzano cultura in senso stretto a tutta la filiera, il valore aggiunto prodotto schizza al 15% del totale dell’economia italiana e occupa ben 4 milioni e mezzo di addetti, il 18,1% degli occupati totali. I risultati dello studio, il primo a quantificare il peso della cultura nell’economia italiana, smentiscono chi la racconta come un settore non strategico e rivolto al passato e la inquadrano invece come elemento trainante per il rilancio del Paese. Recentemente si è parlato spesso di progetti come gli “Stati Generali della Cultura” e di un “Manifesto della Cultura”, idee alle quali ha dato il suo appoggio anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Io credo che su questa strada ci sia molto da fare, da investire, da lavorare.
Per fare tutto ciò però sarà necessario un piano di investimenti ad hoc da parte del governo…
Non si tratta soltanto di una politica più lungimirante in materia di investimenti per la conservazione di beni e siti (basti pensare a Pompei), ma anche di studiare forme di collaborazione tra il mondo (e le strutture) della cultura e quello dell’economia, che fino a oggi hanno dialogato a fasi alterne e in modo non sempre specifico. Più volte gli esponenti della cultura hanno prediletto forme di autosufficienza, talora per il timore di “inquinare” la cultura con l’economia e il business. D’altronde non sempre gli esponenti dell’industria si sono resi conto dell’importanza di abbinare ai loro prodotti il fascino della cultura italiana, intesa nel senso più ampio del termine. Tutto ciò deve essere superato: gli inglesi usavano dire che “il libro precede il manufatto”, in questo senso la cultura fa da battistrada ai prodotti industriali.
Quindi il vostro progetto indagherà i campi di applicazione dove possono incontrarsi operativamente cultura e economia?
Il progetto “La Cultura motore dell’Economia” si propone di superare la concezione separatista cercando di creare un ambiente comune e una consapevolezza delle necessità che porti i due mondi (cultura e economia) a cooperare per il bene del Paese. Basti pensare, ad esempio, a quello che succede nel caso dell’abbinamento di fiere industriali ed esposizioni d’arte italiana: il principio di base è il medesimo. A torto si è talora ritenuto che l’unico settore economico interessato a questi discorsi – la cui importanza non va comunque sottovalutata – fosse quello del turismo e del turismo culturale (eravamo i primi al mondo nel turismo: siamo precipitati al ventottesimo posto per competitività). Invece, è l’intera economia, dalla manifattura, all’enogastronomia, ai servizi, che deve essere coinvolta e che può ricevere vantaggi e sostegno. L’iniziativa alla quale si intende dar vita si propone di mettere in contatto alti esponenti della cultura e dell’economia per avviare questo dialogo e questa collaborazione. Partendo da un’analisi delle opportunità offerte dalle attività culturali, il lavoro avrà lo scopo di osservare che anche l’economia è sostenuta dalla cultura e che politiche di valorizzazione alla ricerca, all’arte, al patrimonio storico e alla tutela dei talenti, rappresentano una risorsa per l’occupazione e per il benessere del Bel Paese.