Mentre i padri sinodali erano impegnati nei circoli minori, Papa Francesco scorrazzava per piazza San Pietro, abbracciando e baciando fedeli, prima di scalare il sagrato con la sciatica post-viaggio caraibico-americano, e disporsi a parlare di famiglia. Per il Papa, l’istituto sotto osservazione ecclesiale merita tutta l’attenzione della comunità, tanto che ha deciso che per tutto il tempo che i padri del mondo discuteranno e si azzufferanno nell’aula nuova in Vaticano, le sue catechesi saranno ispirate proprio al rapporto tra Chiesa e famiglia. Non meditazioni autoreferenziali, a cui sembra allergico, ma riflessioni con un orizzonte ampio che comprenda tutta l’umanità. Francesco è convinto che la quotidianità degli uomini e delle donne necessiti di una “robusta iniezione di spirito famigliare”: i rapporti civili, economici, giuridici, professionali e di cittadinanza sono troppo razionali e anonimi, “disidratati”, ha spiegato ieri sotto il minaccioso cielo romano, e l’unica soluzione ragionevole, verrebbe da dire naturale, è l’introduzione di quei legami di fedeltà, sincerità, fiducia e rispetto a cui educa la famiglia.
Secondo il Papa la famiglia apre alla società una prospettiva più umana. La famiglia insegna “ad onorare la parola data, il rispetto delle persone, la condivisione dei limiti personali e altrui”. In più è un valore insostituibile, soprattutto nell’attenzione dei più piccoli e indifesi, ma anche nella cura dei più vulnerabili e di chi è più scapestrato. Il Papa si spinge a dire che nella società “chi pratica questi atteggiamenti, li ha assimilati dallo spirito famigliare, non certo dalla competizione e dal desiderio di autorealizzazione”.
Devo ammettere che ci ho riflettuto su un bel po’, e non è che mi abbia proprio convinto. Le obiezioni a questa visione sono costantemente rilevabili nella cronacaccia a cui ci hanno assuefatto tv e rotocalchi. In più l’ossessione per l’elemento patologico nel familiare non aiuta a registrarne la pedagogia positiva. Credo che il mio giudizio sia viziato da un’immagine di famiglia che, ben distante dal quadretto edulcorato del Mulino Bianco, è più vicina alle saghe dark propinate ogni giorno da serial e programmi spazzatura. Se guardo alle famiglie che mi stanno intorno, quei valori promessi da Bergoglio, sembrano appartenere ad un’antropologia pre-moderna. Sono severa, ma bisogna essere onesti: crediamo davvero che oggi le famiglie educhino all’attenzione ai più piccoli e indifesi, al rispetto dell’altro, o al rispetto della parola data! Basta farsi un giro tra gli adolescenti nelle piazze, nei locali e fuori delle scuole italiane per constatare l’imbarbarimento del costume. Anzi proprio quei rapporti “disidratati” e anonimi di cui parla Francesco, rispondono in pieno a certe dinamiche delle cosiddette “famiglie moderne”.
Voglio dire che il discorso del Papa non fa una piega, ma dobbiamo intenderci su che genere e che qualità di famiglia stiamo parlando. Quella ideale o quella reale? Il punto è tutto qui e credo che alla fine sia anche la questione su cui si scervellano i padri al Sinodo. L’attenzione pastorale ha un modello di riferimento, la coppia cristiana formata da un uomo e una donna come biblicamente rivelato, ma deve essere rivolta alla famiglia reale, quella scassata e spesso depotenziata nella sua vocazione educativa. Ben ha fatto il Papa a chiedere di dare alla famiglia “il dovuto peso — e riconoscimento, e sostegno — nell’organizzazione politica ed economica della società contemporanea”, ma bisogna forse ricominciare dai fondamentali, insegnare agli uomini e le donne ad amarsi e ad amare, a capire parole che per stessa ammissione dei vescovi e cardinali al Sinodo non sono più intellegibili. Vedi alla voce “indissolubilità”. Credo che il Papa abbia voluto dire questo quando parlava di famiglia che “non solo non ha riconoscimento adeguato, ma non genera più apprendimento!”
Nella sua catechesi di ieri c’era la denuncia di una società che con tutta la sua superbia tecnocratica non è ancora in grado di assicurare la convivenza civile, e di un costume sociale e politico che mostra segni di aggressività, volgarità e disprezzo bel al di sotto della soglia di un’educazione familiare minima. Ieri ha detto: “gli estremi opposti di questo abbrutimento dei rapporti — cioè l’ottusità tecnocratica e il familismo amorale — si congiungono e si alimentano a vicenda”. Lo ha chiamato paradosso. Credo che sia il paradosso su cui si gioca la credibilità del Sinodo e della Chiesa. Sarà in grado di innestarsi su questo tessuto, di riscoprire quella “familiarità” buona e sana di cui abbiamo perduto le tracce? Il Papa pensa di sì. E chiede alla Chiesa di iniziare da se stessa. Diventare la famiglia di Dio. Al termine dell’udienza ha salutato alcune coppie di sposi, tra chi gli faceva benedire madonne e chi offriva confetti, c’era chi urlava la propria rabbia perché il matrimonio era costato il lavoro. Anche questo accade durante il Sinodo.
Ben ha fatto il Papa a chiedere di dare alla famiglia “il dovuto peso – e riconoscimento, e sostegno – nell’organizzazione politica ed economica della società contemporanea”, ma bisogna forse ricominciare dai fondamentali, insegnare agli uomini e le donne ad amarsi e ad amare, a capire parole che per stessa ammissione dei vescovi e cardinali al Sinodo non sono più intellegibili. Vedi alla voce “indissolubilità”. Credo che il Papa abbia voluto dire questo quando parlava di famiglia che “non solo non ha riconoscimento adeguato, ma non genera più apprendimento!” Nella sua catechesi di ieri c’era la denuncia di una società che con tutta la sua superbia tecnocratica non è ancora in grado di assicurare la convivenza civile, e di un costume sociale e politico che mostra segni di aggressività, volgarità e disprezzo bel al di sotto della soglia di un’educazione familiare minima. Ieri ha detto: “gli estremi opposti di questo abbrutimento dei rapporti – cioè l’ottusità tecnocratica e il familismo amorale – si congiungono e si alimentano a vicenda.” Lo ha chiamato paradosso. Credo che sia il paradosso su cui si gioca la credibilità del Sinodo e della Chiesa. Sarà in grado di innestarsi su questo tessuto, di riscoprire quella “familiarità” buona e sana di cui abbiamo perduto le tracce? Il Papa pensa di si. E chiede alla Chiesa di iniziare da se stessa. Diventare la famiglia di Dio. Al termine dell’udienza ha salutato alcune coppie di sposi, tra chi gli faceva benedire madonne e chi offriva confetti, c’era chi urlava la propria rabbia perché il matrimonio era costato il lavoro. Anche questo accade durante il Sinodo.