«Una produzione industriale pari al +0,7% nel primo trimestre 2016 equivale a un Pil del +0,2% nei primi tre mesi, con un risultato che arriverà al +1% entro fine anno». È quanto evidenzia Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza. Secondo i dati Istat diffusi martedì, nel periodo gennaio-marzo la produzione industriale italiana è cresciuta dello 0,7% rispetto al trimestre precedente e dell’1,6% rispetto al primo trimestre 2015. Nel solo mese di marzo la variazione è stata nulla rispetto a febbraio, mentre rispetto a marzo 2015 è stata pari al +0,5%.
Quali sono le prospettive per la nostra economia alla luce degli ultimi dati sulla produzione industriale?
La produzione industriale è un dato fortemente correlato all’andamento del Pil. Nel trimestre gennaio-marzo la produzione aumenta dello 0,7% rispetto al trimestre precedente, e di solito la variazione del Pil è pari a circa un quarto rispetto alla variazione della produzione industriale. Mi aspetto quindi un +0,2% di crescita trimestrale del Pil. La previsione di consenso invece in questo momento è pari al +0,3%, staremo a vedere se venerdì questa cifra sarà confermata nelle stime preliminari.
Quindi lei ritiene che il Pil del primo trimestre sia al di sotto delle attese?
Mi aspetto un dato al di sopra delle attese più pessimistiche, che stando alla previsione dell’Istat degli inizi di marzo erano pari al +0,1%. Nel corso del tempo sono arrivati però dei dati decisamente migliori, soprattutto per quanto riguarda la produzione industriale di gennaio che ha fatto rivedere all’insù le stime per il primo trimestre fino allo 0,3%. In definitiva io mi aspetto un +0,2%.
Alla fine dell’anno avremo il +1,2% come previsto dal Def?
Il +1,2% previsto dal governo è un dato ottimistico. Se le cose continuano come sono andate finora, cioè con circa lo 0,25% ogni trimestre, a fine anno si dovrebbe arrivare a malapena al +1%. In ogni caso il +1,2% del Def non è così sovrastimato da fare sforare in modo serio le previsioni sul rapporto deficit/Pil e debito/Pil.
Per tornare al dato sulla produzione, secondo lei da che cosa dipende il fatto che non decolla?
La produzione industriale non decolla perché in Italia continua a essere difficile fare impresa. Gli indicatori a cui le aziende guardano per determinare se aprire un nuovo punto vendita, creare un nuovo impianto o estendere gli impianti esistenti, di fatto portano a prediligere mercati che crescono di più. Nonostante il rallentamento, i mercati emergenti continuano a essere più convenienti. E lo stesso vale per Paesi che crescono di più come Stati Uniti e Germania, dove c’è una torta più grande e tassi di crescita maggiori rispetto al nostro.
Con quali conseguenze?
La conseguenza è che anche aziende che vanno bene spesso nelle loro strategie di espansione scelgono di creare posti di lavoro al di fuori dei nostri confini. Ciò fa parte delle strategie aziendali, e sono dunque scelte che vanno rispettate, ma d’altra parte ci lasciano un saldo occupazionale insufficiente per ridurre la mancanza di posti di lavoro.
Quali Paesi europei sono più competitivi rispetto all’Italia?
Ci sono Paesi europei, a cominciare dal Regno Unito, in cui la situazione di carattere fiscale è più favorevole sia per le imprese già avviate sia per l’apertura di nuove aziende. Lo stesso vale anche per i Paesi Bassi e per “paradisi fiscali” come il Lussemburgo. D’altra parte il rischio di un’eventuale Brexit potrebbe però frenare l’emorragia di lavoratori e di imprese verso la Gran Bretagna, almeno fino a che non si sarà svolto il referendum.
Condizioni più favorevoli per le imprese corrispondono a condizioni più svantaggiose per i lavoratori?
Non necessariamente, anzi spesso questa legislazione finisce per favorire gli stessi lavoratori. Casi emblematici sono quelli in cui è più facile aprire un’impresa o sono concessi sconti sugli utili nei primi tre anni di vita. Quest’ultima in particolare è la proposta su cui sta lavorando il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
(Pietro Vernizzi)