È bello talvolta ritornare nella propria università per rivedere i luoghi di anni colorati e vibranti, per ritrovare i chiostri animati di vita e per notare i cambiamenti intercorsi nel tempo. E l’altro ieri l’Università Cattolica ha accolto studenti dei licei classici, studiosi e amanti del teatro antico per uno spettacolo curato dalla professoressa Elisabetta Matelli con la collaborazione di Christian Poggioni, proveniente dalla Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Il testo è quello di Euripide, il titolo Elena e il suo doppio. La rappresentazione si è svolta nell’aula Bontadini, intitolata al grande maestro di filosofia della Cattolica; essa si trova due piani sotto terra, ha ben poco dell’aula universitaria tradizionale e conserva due preziose testimonianze del monastero di sant’Ambrogio: i resti del luogo nel quale venivano conservate al fresco le vivande e quelli del magazzino dei monaci. Con poche aggiunte a questi suggestivi elementi è stata costruita la scena. Il pubblico era intorno, disposto a semicerchio, e ciò ha aiutato aiuta la partecipazione allo spettacolo, che si è avvalso di luci smorzate, di musiche di Glass, Villa Lobos, Rossini e Stravinsky, di costumi sobri nei colori e nella linea, dei giovani attori del Laboratorio di drammaturgia antica. Bravi, ben guidati, consapevoli del testo.
Il nodo tragico del dramma di Euripide e del suo intento ostile alla guerra può essere rinvenuto nelle parole del servo di Menelao che, dopo dieci anni di guerra a Troia e sette trascorsi tra le burrasche del mare, di fronte all’evidenza che Elena non era mai andata a Troia con Paride, ma si trova in Egitto protetta da Proteo, esclama: “Ma cosa? Abbiamo allora sofferto invano per una nuvola?”.
Accogliendo una tradizione già cantata da Stesicoro e con qualche variante narrata anche da Erodoto, Euripide presenta la vera Elena che ha custodito la fedeltà matrimoniale e che Menelao, giunto in Egitto da profugo incontra, mentre cerca salvezza per sé, per i compagni e per l’immagine eterea di Elena portata via da Troia. Con questo gioco di scambi Euripide pone la grande questione dibattuta dai filosofi del suo tempo, quella della conoscenza e della via per raggiungere la verità. La sua risposta è personificata da Teonoe, letteralmente Mente divina, la profetessa che unica ha un rapporto diretto con gli dei.
Il coro alla fine sintetizza la vicenda che si muove verso il lieto fine del ritorno a Sparta di Menelao e della sua sposa, concludendo: “Molti sono gli aspetti del divino e molti eventi compiono gli dei contro ogni attesa: quelli che sono attesi non si compiono, mentre il dio trova un esito a quelli non attesi”. Soluzione problematica, non certo rassicurante.
Ma il dramma di Euripide è anche la decostruzione del mondo epico, di quell’epopea che con Omero era diventata l’emblema della nobiltà greca. Tanta gloria, tanta grandezza, tanto lutto, tutto per una vuota immagine. Come l’eterea Elena, così anche l’ideale omerico si dissolve nel nulla. Sono i tempi della decadenza di Atene, dopo la disfatta in Sicilia, dello spirito di Atene, prima ancora che della sua potenza militare e politica. Resta invece, accanto alla riabilitazione di quella donna dalla cui bellezza erano incantati anche i vecchi troiani, accanto alla riaffermazione di ideali più familiari e pacifici, anche l’inquietudine circa il percorso che, non più guidato da dei capricciosi e imprevedibili, l’uomo sente di dover compiere con la sua ragione, la sua scaltrezza e la sua volontà.
Un ringraziamento sincero e un applauso convinto dunque a questa rappresentazione di Euripide, sorprendente da molti punti di vista. L’anno prossimo appuntamento con Ione di Euripide.