Nessuna proposta, solo un augurio. Uno “Statuto speciale per Roma”? Lui la spiega con il suo tono asciutto: «Non faccio una proposta di un nuovo statuto. Ho solo messo insieme le varie possibilità, cercando di ampliare un po’» con alcuni esempi riguardanti grandi eventi. Poi torna sulla questione rispondendo ad una domanda dei giornalisti, durante la conferenza stampa che fa seguito alla cerimonia accademica. Al cronista che ricorda, in particolare, la denuncia pronunciata all’Angelus dal Papa per la morte dei quattro bambini rom in un campo della Capitale, risponde: «Il mio era un augurio e forse anche una proposta, ma non è ancora una realtà. Dall’augurio alla realtà – aggiunge nel suo italiano venato di accento tedesco – manca un po’ di pezzo dell’autostrada».
Lui è monsignor Georg Gaenswein, segretario personale di Benedetto XVI. Parla a Perugia, all’Università per Stranieri che gli conferisce la laurea honoris causa in “Sistemi di comunicazione nelle relazioni internazionali”. «Qui mi sento a casa», confida don Ganswein, ricordando che proprio nell’ateneo perugino ha imparato dapprima la lingua italiana e poi le prime conoscenze di storia e cultura del nostro paese. Indossa la toga («un po’ troppo corta» commenta qualche signora uscendo dall’Aula magna), e il berretto («un po’ troppo piccolo» a detta della stessa). Poi, senza perdere il suo spirito, monsignor Gaenswein si getta nella Lectio Doctoralis, un impegnativo discorso sui rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, su Concordato e Patti Lateranensi. «E’ attuale interessante, importante, decisivo e mi piace» spiegherà poi ai giornalisti sulle motivazioni che lo hanno spinto ad affrontare l’argomento.
Fa una proposta: uno statuto speciale per la Capitale a motivo del suo ruolo per la cristianità. Possibilità confermata – rileva don Georg – dal decreto su Roma Capitale. Il riferimento è al quarto comma dell’art. 2 del Concordato, dove si afferma che “la Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità”. Una norma che “può legittimare interventi del legislatore e della pubblica amministrazione destinati specificamente a Roma in quanto sede vescovile del Papa e centro della cattolicità, e diretti a garantire una migliore esplicitazione delle funzioni e delle relazioni che a detto carattere sono connesse”. L’idea è quella di dare a Roma uno «statuto speciale» che le permetta di essere appieno Capitale della cattolicità, oltre che della Repubblica italiana. Con i cronisti don Georg contesta di avere in mente la prossima beatificazione di Papa Wojtyla, il primo maggio. Ma nella lectio doctoralis cita il grande Giubileo del 2000 e i funerali di Giovanni Paolo II come esempi positivi di eventi ecclesiali sostenuti dallo Stato italiano. Tra le funzioni speciali che Roma dovrebbe avere – per don Georg – «l’urbanistica, i trasporti, le relazioni internazionali, l’accoglienza di pellegrini, i servizi sociali e sanitari anche a favore di non cittadini (immigrati, extracomunitari, eccetera), il turismo di carattere religioso, la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali, ecclesiastici e religiosi».
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Nessuna proposta, solo un augurio, ripete ancora don Georg. E come tale bisogna allora prenderlo. Anche se si può almeno osservare che si tratta di un augurio molto preciso e dettagliato. Piuttosto appare un evento che il segretario personale di Papa Benedetto XVI, solitamente defilato, entri in scena da protagonista su una questione non certo di secondo piano. Questo sacerdote tedesco di 55 anni ha concesso poche interviste e apparizioni pubbliche da quando, con l’elezione di Ratzinger, è divenuto l’ombra del capo della Chiesa cattolica. Non può non aver valutato – hanno pensato in molti – che peso avrebbero assunto le sue parole, specie in vista degli appuntamenti che Roma sarà chiamata ad affrontare nelle prossime settimane e che richiameranno in città milioni di pellegrini. Ma è soltanto una deduzione, che non appare al momento suffragata dai fatti. Tanto che la proposta di don Georg è passata nella quasi indifferenza generale delle istituzioni e della politica, nazionale e locale. E non deve sorprendere neppure il titolo piuttosto evidente in prima pagina sul quotidiano l’Avvenire – Roma, una città a statuto speciale? – che poi ha pubblicato nelle pagine culturali la parte finale della lectio di monsignor Gaenswein, proprio quella dedicata alla Capitale.
Certo, non è un segreto la grande preoccupazione che si avverte, non solo nei palazzi apostolici, per l’appuntamento del primo maggio, la beatificazione di Papa Wojtyla, che rischia di diventare un avvenimento assai più imponente di quanto non sia già previsto. Ma qui i problemi da affrontare sono altri e attengono ad altre esigenze.
Piuttosto fanno specie le reazioni che, qua e là, nei blog, sul web, le parole del segretario del Papa hanno suscitato, quasi fossero una richiesta di chissà che o una nuova forma di ingerenza negli affari interni di uno stato sovrano. Non c’è solo lo scontato anticlericalismo di cui si nutrono settori sempre più vasti dell’opinione pubblica. C’è probabilmente anche un certo fastidio verso le nuove forme di autonomia. E questo è un segnale che converrebbe non sottovalutare.