Il problema dei campi nomadi è scoppiato fra le mani dell’amministrazione comunale mentre il Campidoglio era già impegnato nella definizione di un piano che permettesse una messa in sicurezza delle aree preposte all’accoglienza dei campi nomadi e la creazione di nuove zone adatte a decongestionare quelle già esistenti.
Ma la tragedia dell’Appia ha imposto ad Alemanno un’accelerazione di quello che ormai è unanimemente riconosciuto come “Piano nomadi”, dovendo fondere tra di loro risposte per disinnescare l’emergenza e strategie di lungo respiro che guardino al futuro.
«Attualmente esistono due aspetti. Uno emergenziale dovuto alla presenza di micro-insediamenti sparsi per la città, pericolosi per chi ci vive. C’è poi un problema complessivo più emergenziale, di decoro e di sicurezza e di percezione della sicurezza dei cittadini che vivono in contiguità con queste realtà». A spiegarcelo è Giorgio Ciardi, consigliere comunale di Roma, delegato del Sindaco Alemanno per la Sicurezza. «La risposta immediata da offrire – prosegue – è quella di offrire sicurezza sia alle persone che vivono in queste aree, che a tutti i cittadini romani».
E sul lungo termine?
Si porta avanti quello che è il Piano nomadi, attraverso la realizzazione di campi attrezzati e controllati, mettendo in campo politiche di sostegno e di integrazione. Il principio di fondo delle nostre politiche in materia è quello di coniugare le politiche di sicurezza con quelle dell’integrazione e del sostegno.
Nei giorni successivi alla tragedia dell’Appia, Avvenire ha chiamato in causa in modo netto le responsabilità dell’amministrazione. Si poteva fare qualcosa di più e di migliore prima che l’incendio e la morte dei bimbi scoperchiasse il problema?
In Italia il più grande indice di incidenti si ha fra le mura domestiche. Figuriamoci cosa può succedere in una baracca, nella quale i genitori abbandonano i figli, con un’età che va dai tre agli undici anni, con una candela o con un braciere acceso. In estate ci fu una tragedia simile e morì una bambina. Immediatamente sfollammo quella struttura dando accoglienza agli abitanti del campo, o almeno quelli che si sono resi disponibili a farsi accogliere nelle strutture del Comune. Bisogna pensare che, quando si parla di ospitalità per il Comune di Roma, vanno considerate le spese da sostenere, l’impatto sociale e politico di queste nuove realtà sulla città. Bisogna rendere l’ospitalità sostenibile, perché accogliere tutti significa non accogliere nessuno. Non riusciamo, purtroppo, ad accogliere tutti, anche volendo. Ma i sindaci non possono essere lasciati soli, occorre una politica europea che risponda a questi problemi. Per ora sono solo chiacchiere, l’Europa lancia solo avvertimenti e anatemi, una politica non in grado di costruire prospettive di vita migliori per queste persone nei Paesi di origine.
Quello dell’accoglienza quanto è un problema normativo e quanto invece si situa su un piano educativo e culturale?
La verità non sta mai tutta da una parte o tutta dall’altra. La precondizione per poter attuare efficaci politiche di integrazione è l’accettazione delle leggi e delle regole, cosa che non sempre avviene. D’altra parte Roma non è di certo una città intollerante, se continuano ad arrivare tutte queste persone, così come l’Italia, rispetto a tanti altri Paesi. Anche dal punto di vista delle normative adatte a punire i comportamenti illegittimi. Il progetto di accoglienza e integrazione deve andare di pari passo con l’accettazione di regole di civiltà che devono essere condivise e assimilate. Se non faremo questo non garantiremo né integrazione e né sicurezza.
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Venendo al dettaglio della situazione, lo stop dei lavori per una nuova campo nomadi a villa Troili e la voce sull’utilizzo di caserme abbandonate farebbero pensare che la strategia dei campi attrezzati stia per essere abbandonata.
Per quanto riguarda l’emergenza l’articolazione delle risposte può essere la più varia possibile, andando dalle tende, per arrivare a strutture disponibili e messe in sicurezza. Per quanto riguarda il Piano nomadi, fondamentalmente riconfermo quello che è già stato deciso, vale a dire campi attrezzati nei quali la comunità nomade possa vivere tranquilla e sicura. Ovviamente si individueranno aree che non impattino pesantemente con il tessuto sociale della città.
Quindi può smentire il fatto che si sta pensando a strutture immobili per accogliere i rom?
Dipende in che situazione sono e dove sono ubicate. In questa fase non si può escludere nulla.
Non arriveranno i trenta milioni di euro chiesti dal sindaco, ma il Viminale ha comunque promesso lo stanziamento di alcune risorse. Quali sono gli interventi più urgenti? Si parla di lavori nel campo della Barbuta.
Abbiamo già iniziato i lavori alla Barbuta per la messa in sicurezza di quel campo. Un ampliamento è ancora tutto da vedere. Poi bisogna anche vedere in quanto verranno quantificati questi fondi, prima di decidere in cosa impiegarli. Poi sulla base di questo si vedrà dove intervenire, ma ancora non sappiamo dire a quanto ammonteranno.
Il Piano nomadi è stato criticato perché si baserebbe sui rom regolarmente censiti, che sarebbero circa la metà della popolazione effettivamente presente nel territorio del Comune.
All’epoca fu effettuato un censimento che rispondeva ad una metodologia scientifica. Non so questi altri dati come sono stati calcolati. Quando parliamo di siti abusivi presenti sul territorio parliamo anche di un flusso migratorio di cittadini comunitari ingente. Di questi non tutti sono rom, per cui non tutti avrebbero diritto a soggiornare nei campi attrezzati. Va fatto un lavoro certosino insediamento per insediamento per capire chi abbiamo di fronte.
In agenda si prevede un nuovo censimento?
Per quanto riguarda gli insediamenti abusivi è già partito.
(Pietro Salvatori)