Caro direttore,
Giorgio Vittadini ha scritto su queste pagine che le imminenti elezioni sono “un’occasione per crescere”. Prendo la penna perché questo tavolo di discussione, cioè questo tema, corrisponde al mio approccio metodologico. Non è il gioco delle carriere politiche che mi ha messo in corsa, non è l’avventura di potere, non è il gioco delle parti rispetto ad ambiti di interesse che chiedono a qualcuno di fare vetrina. Ho chiesto di smontare le primarie dei partiti e di generare una cornice di soggetti istituzionali (pur sempre rispettosi della politica come cardine della democrazia) e sociali (da sollecitare alla cura degli interessi generali), ho accettato l’impegno personale come indipendente, ho vinto le primarie e sto conducendo la campagna di un’ampia coalizione che risponde al disegno del “Patto civico” esattamente perché penso che questa sia una occasione per crescere.
Il programma che abbiamo discusso e approvato entra nel merito dei temi sollevati dal prof. Vittadini. Leggendolo si possono verificare alcune sintonie: il pluralismo socio-culturale; le garanzie di sostenere la competizione (e, dico io, anche la messa a rete e quindi la sinergia) del sistema universitario; il sostegno a un welfare partecipato; l’ineluttabilità dell’appartenenza europea, il progetto di ammodernamento (efficienza/efficacia) dell’amministrazione; il severo controllo contro – apprezzo questa sottolineatura di Vittadini – “i finanziamenti a pioggia dell’associazionismo collaterale alla politica”; la centralità dei diritti individuali e collettivi nella visione trasversale delle politiche pubbliche. E altri temi credo di un approccio riformatore che restituisca piena reputazione a un’istituzione che è cosa che a tanti – sono certo anche a Vittadini – preme come condizione per tornare a unire e non a dividere il pluralismo di apporti che la vita democratica dell’istituzione richiede.
Ma è proprio questa ultima la sottolineatura che mi mette in dialogo. Quella dietro a cui si leggono in modo non aggressivo e non frontalmente conflittuale le ragioni della discontinuità rigenerante, che impegna tutte le filiere delle culture amministrative che rendono ampia e forte la Lombardia.
Quella soprattutto per la quale – programma alla mano e visione culturale dei candidati alla presidenza bene in vista – rende anche chiaro al prof. Vittadini e a tanti lettori de ilsussidiario.net che la discontinuità di Umberto Ambrosoli e quella di Roberto Maroni non sono politicamente sinonimi.
Sono certo che questa discussione – non importa se prima o dopo la scadenza elettorale – continuerà con trasparenza di posizioni e verso l’interesse della nostra comunità sociale.