La Fede non me lo vuole proprio dire. Poi, dopo quindici minuti che insisto peggio di un disco rotto, riesco finalmente a farla cantare. “Edwige. Nostra figlia si chiamerà Edwige”. Ohibò. “Ma come ti è venuto in mente, un nome così… così particolare?”. “Ah, non l’ho scelto io. Il nome lo ha deciso mio marito. Dice che gli fa tornare in mente tanti bei ricordi di gioventù…”. Su questo non ho dubbi. “Del resto” prosegue “non potevo metterci bocca. Sull’anagrafica della piccola, ci siamo accordati fifty-fifty: lui sceglie il nome e io il cognome. Edwige avrà il mio cognome” mi sorride con una ben marcata punta d’orgoglio.
“Il tuo? Ma si può?” casco dalle nuvole. “Certo. O meglio, tra poco sarà possibile. Ci sono novità: la Corte europea dei diritti umani ha di recente bacchettato l’Italia per aver negato ad una coppia la possibilità di dare alla bambina il cognome della madre, invece di quello del padre. Dunque, molto presto si potrà scegliere di registrare i propri figli con il cognome di lei. Me lo sento: per la data del parto, ci saranno tutti gli estremi per farlo!”. “Ma, il tuo Mario è anche lui d’accordo?” “Beh, ho dovuto convincerlo…” ammette abbassando lo sguardo. Salta fuori che su questo benedetto cognome se ne son dette di santa ragione. Due settimane di sfuriate al limite del divorzio, poi Mario ha ceduto il diritto al riconoscimento della sua patria potestà. Dovrà adattarsi: quando qualcuno domanderà di chi è figlia Edwige, gli toccherà alzare la mano come quando portano le pizze al tavolo della cena di classe.
La Fede invece l’ha spuntata sul marito: con la sua lingua più affilata di una sega elettrica, è riuscita a tagliargli in tronco l’albero genealogico. “Contenti voi… Comunque, amica mia, pensaci bene” le suggerisco mentre ci salutiamo. “In realtà il tuo cognome non è altro che quello di tuo padre; quindi si ritorna indietro di una generazione, niente più, ma sempre sul capofamiglia ti poggi. Se vuoi fare le cose fatte bene, allora procedi così” la provoco io “scommetti sul valore retroattivo del nuovo decreto; e prima di battezzare la piccola, cambia il tuo cognome con quello di tua madre. Almeno insaporisci il nome di famiglia con un altro po’ di geni femminili”.
Lei fa subito l’espressione interessata, ma io già mi vedo la faccia di Mario: lui a stento sopporta la mamma di lei quando intrufola il naso nella loro cucina; altro che boccone duro da mandar giù, quando la Fede gli dirà che sarà la suocera a dare il cognome a sua figlia!
Che poi: perché fermarsi al cognome della madre, e non fare retromarcia alle radici delle proprie ave? All’improvviso mi attraversa un guizzo: la mia bisnonna si era trasferita in America ed è lì che si è sposata.
Vuoi vedere che a ben cercare, rischio di ritrovarmi con un bel ‘Clooney’ o ‘Pitt’ a portata d’eredità sulla carta d’identità? Ripenso ai miei amici: Fede e Mario hanno già un altro figlio che – come da buona e sana tradizione – ha il cognome del padre… Non è che si crea un po’ di confusione? Io già vado in tilt in tintoria perché non ricordo mai che cognome ho dato quando ho portato la roba: il mio, o quello di mio marito? Tre giorni fa, stavo per trascinarmi a casa l’incarto di un bel drappo di tende per letto a baldacchino; noi dormiamo da dieci anni sul futon. Ora: non pretendo di paragonare una coppia di figli a una parure di chiffon, ma la vita mi sembra già abbastanza impegnativa così, senza dover per forza seminare confusione e soprattutto indebolire una figura paterna che – al giorno d’oggi – ha già spesso i suoi problemi di robustezza. Anche in questo inevitabile effetto collaterale di destabilizzazione, che ci guadagna una madre e una moglie?
Io credo nulla. L’arte di confezionare duecento tortellini nel tempo in cui io servo in tavola un piatto di riso in bianco con insalata mista. La pazienza di rammendare un calzino per la terza volta, anziché lanciarlo nel sacco nero – quando va bene, o per distrazione non finisce dritto nell’umido. La tenacia nell’aspettare sveglia un figlio fino alle due di notte, anziché crollare alle dieci in punto davanti a Desperate Housewives. Ecco cosa vorrei davvero in dote, se potessi scegliere cosa farmi tramandare all’istante da mia madre. Rispettabilissima Corte di Strasburgo: questi sì che sono diritti umani.