In Italia è uno dei pochi porti che ha chiuso il 2015 in crescita (+6% rispetto all’anno precedente). Ed è l’unico che, in prospettiva, ha le caratteristiche per compiere un ulteriore sostanziale passo in avanti nella logistica: fondali rocciosi profondi anche 20 metri e 5 milioni di metri quadrati di retroporto disponibili per insediamenti produttivi e industriali. E poi, non meno importante, c’è il management che – lo dicono i “clienti” dello scalo, armatori e investitori – in questi anni di tempesta per la portualità italiana, ha saputo tenere il Porto di Roma fuori dalle secche, inventando letteralmente traffici completamente nuovi, come l’export dell’automotive, che hanno consentito di affrontare la crisi mantenendo numeri positivi e di rilanciare con forza il ruolo del Network del Lazio (che presto potrebbe estendersi all’Abruzzo) nella partita di un settore, quello dell’economia del mare, che vale 2 punti e mezzo di Pil e circa 40 miliardi di euro l’anno.
Il porto è quello di Civitavecchia, il manager è Pasqualino Monti, oggi commissario dell’Authority laziale, in attesa delle nomine del Governo legate al varo della riforma, nonché presidente di Assoporti.
”Tutti gli scali nazionali – afferma Monti – sono commissariati, è chiaro che occorre avere presto l’operatività della nuova legge, in modo che le nuove autorità di sistema portuale possano diventare operative, con una governance in condizione di programmare opere e investimenti, e non solo di gestire l’ordinario. L’Italia ha bisogno anche dei porti per ripartire, per questo bisogna fare presto, semplificare e rispondere alle esigenze del mercato, che non aspetta”.
Per Monti, “il problema non è di favorire questo o quel porto italiano: la sfida è con gli altri Paesi del Mediterraneo e, per certi aspetti, anche del Nord Europa ed extraeuropei. È impensabile che soprattutto a causa di procedure farraginose, di sovrapposizioni di competenze di troppi soggetti, oltre un terzo delle merci importate in Italia, che arrivano via mare, sia sdoganato nei porti del Nord Europa, per i nostri tempi di attesa talmente lunghi da far perdere al Paese anche il vantaggio di essere nel Mediterraneo la ‘seconda fermata’ dopo Suez”.
Bisognerebbe quindi dire addio alla “concorrenza” tra i porti italiani, che oltretutto “svolgono la decisiva funzione di regional gateway rispetto ai retrostanti sistemi economici territoriali”.
Sotto questo aspetto, Civitavecchia ha dato ampia prova di efficienza di tutta la filiera delle operazioni portuali, grazie alla quale ha convinto FCA a servirsi del porto di Roma per esportare verso Halifax e Baltimora (e ora in tutto il mondo) le Jeep e 500L prodotte a Melfi. Civitavecchia non è il porto geograficamente più vicino, ma è quello che ha potuto da subito giocare la carta in più degli spazi a disposizione per scaricare e depositare in banchina e nei piazzali retroportuali le centinaia di auto che ogni giorno arrivano in treno dalla Basilicata, in attesa di essere caricate sulle navi dell’armatore Grimaldi, che inizialmente arrivavano ogni 2-3 settimane, ora hanno una banchina dedicata dello scalo ogni 2-3 giorni. E dopo Melfi, già si pensa ad acquisire anche l’export della produzione degli impianti di Cassino.
I risultati economici dell’Autorità Portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, continuano a evidenziare una performance positiva: l’utile netto dell’ente è cresciuto sensibilmente, fino ad arrivare a 15 milioni nel 2012. Le accise versate nelle casse dello Stato derivanti dal traffico merci sono passate da 750 milioni di euro a oltre 1 miliardo l’anno. Nel frattempo il Porto di Roma ha mantenuto il primato nazionale (ma secondo l’Authority anche quello del Mediterraneo, nella battaglia sui numeri ingaggiata con Barcellona) delle crociere, con circa 2,3 milioni di turisti transitati nel 2015 (+6,3% rispetto al 2014).
Anche la programmazione e la capacità realizzativa e di spesa dei finanziamenti sono due ulteriori carte vincenti dell’Autorità Portuale guidata da Pasqualino Monti. La darsena Sant’Egidio, realizzata con fondi Cipe, è in via di ultimazione dopo che le prime due banchine erano state consegnate addirittura con 6 mesi di anticipo. Il prossimo maxi investimento pronto a decollare è quello che proietterà Civitavecchia nella sfida che consentirebbe un ulteriore balzo in avanti per il porto, anche come volano economico per il quadrante nord del Lazio: quella delle merci. Il Gruppo Gavio, socio di maggioranza (le altre quote sono di Enel e Ludoil) della Compagnia Porto, nata per realizzare la Darsena Energetico Grandi Masse, ha confermato di essere pronto a mettere sul piatto 308,6 milioni per realizzare un terminal container da 1 milione di teus nell’area più a nord del porto, di fronte alle banchine del carbone che riforniscono la centrale elettrica di Torre Valdaliga Nord. L’investimento complessivo, di circa mezzo miliardo, sarebbe completato dalla parte pubblica, con 200 milioni che l’Autorità Portuale sta cercando di finanziare attraverso la Banca Europea per gli Investimenti. L’obiettivo è ambizioso e Monti ha giocato al meglio le sue carte, riuscendo a far inserire il progetto tra gli interventi italiani ricompresi nel piano Juncker e finanziati da Bruxelles con 1,7 miliardi complessivi.
La fase più delicata è proprio quella in corso, in vista della chiusura delle intese e dei procedimenti necessari a far partire le opere, che riguardano oltre 50 ettari di banchine, con i cantieri che potrebbero aprirsi nel 2017, per restituire in 3-4 anni, un porto in grado da subito di movimentare almeno 300.000 container e di creare alcune migliaia di nuovi posti di lavoro. Sulla ”Piattaforma Lazio” punta molto Unindustria, che recentemente ha presentato uno studio di Kpmg sulle potenzialità strategiche di sviluppo di porto e retroporto: ”Certamente c’è da completare la fase relativa alla costruzione delle infrastrutture occorrenti – ha evidenziato il presidente degli industriali del Lazio Maurizio Stirpe – e naturalmente bisogna creare quelle condizioni e quel clima favorevoli affinché ci siano degli insediamenti produttivi, relativi al settore manifatturiero. Ritengo tuttavia che ci siano le condizioni per uno sviluppo concreto, c’è la vicinanza a Roma, c’è la vicinanza all’aeroporto hub di Fiumicino e Civitavecchia già gode del primato dal punto di vista del traffico crocieristico. E ancora c’è la presenza di un costruttore di automobili importantissimo come Fca e c’è, infine, un investimento programmato per la nuova piattaforma relativa alla costruzione del nuovo terminal container e proprio lì è il futuro, è dove si potrà polarizzare una buona dose di sviluppo per il nostro territorio regionale”.
La partita è aperta e oggi la preoccupazione maggiore per investitori e operatori è che un cambio al vertice dell’Authority possa danneggiare Civitavecchia ”in una fase – hanno scritto praticamente tutti gli operatori del sistema portuale locale in una lettera aperta al ministro Delrio – in cui la continuità gestionale per i delicati e complessi processi in atto sarebbe essenziale per portare a compimento un programma di crescita a beneficio dell’occupazione e dell’economia del territorio, ma in definitiva di un pezzo importante del Sistema Paese”.
Di certo, sull’importanza strategica del porto di Civitavecchia, ormai non ci sono più dubbi, come dimostra anche l’intesa firmata nei giorni scorsi dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dal Governatore del Lazio Nicola Zingaretti, che in un pacchetto da oltre 1 miliardo di euro per la regione, prevede 485,5 milioni di euro per l’ultimazione della superstrada Ravenna-Orte-Viterbo-Civitavecchia, un’arteria fondamentale per collegare il porto di Civitavecchia all’A1 e, quindi all’Europa.