Juno, titolo di un film che potrebbe essere un qualunque film. Invece no, perché questo film racconta la storia di un’adolescente incinta che, invece di disfarsi del proprio bambino, decide di portare avanti la gravidanza e, rendendosi conto della sua inadeguatezza verso il compito di madre, lascia che quel bimbo venga fatto crescere da una coppia che avrebbe cercato di svolgere al meglio la propria genitorialità. Quando uscì quella pellicola cinematografica, chi, come me, stava vivendo l’avventura della cosiddetta “Lista pazza” di Giuliano Ferrara, si concesse una serata di svago per la visione del film in questione.
Per la mia esperienza, posso dire che l’argomento di non riconoscere il figlio al momento del parto perché venga fatto crescere da altri, è un argomento perdente. Le madri in difficoltà che incontro al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli, davanti a una proposta del genere, hanno sempre affermato: “Se lo faccio nascere lo tengo io”. Strana, forse, questa posizione, visto che l’alternativa è di troncare la vita del figlio con l’aborto procurato. D’altra parte devo riconoscere che la categoria dell’oblatività non è così facile da prendere in considerazione.
Questo il film. Ora la protagonista di Juno dichiara di voler dire la verità sul suo stato di donna omosessuale perché stanca di continuare a mascherarsi. Non so dire molto al proposito: una cosa il film, altra la vita. Sull’omosessualità, posso dire che mi causa una certa sofferenza, ma non solo per l’attrice, bensì in generale. Le persone omosessuali hanno sicuramente accumulato una certa fatica, a cominciare da una mancata “identificazione” con il genitore dello stesso sesso. Se questo è vero, significa che nella loro vita, qualcosa è andata storta.
Nella mia pratica di consulente familiare, dopo molti incontri con Luca, adolescente con grande sofferenza, mi sono sentita dire: “Il punto cruciale di questa mia situazione, è costituito dal fatto che io non ho voluto essere come mio padre. Lui ha fatto molto soffrire la mia mamma e io ho trascorso notti a sorvegliarli di nascosto perché non succedessero tragedie. Non voglio essere uomo”.
Luca ha vissuto un periodo di grande isolamento fino al momento in cui la sua omosessualità è stata scoperta dalla famiglia, che a suo tempo me lo “aveva consegnato” come per aggiustarlo. Conquistare il benessere per lui è stato accettarsi e farsi accettare. Io personalmente sono convinta che anche questo sia segno di un certo malessere sociale dove ciò che consideriamo “libertà” si dilata all’eccesso.
Che cosa dire, poi, delle gravidanze delle adolescenti? Non sono così numerose come si tende a credere; in genere, intendono far nascere il proprio bambino, soprattutto se aiutate. Anche la famiglia, che all’inizio è molto spaventata, si rende conto che la ragazza può continuare la sua vita, basta darle una mano.