Rovereto. Don Ivan aveva il fisico asciutto e le mani grosse, come i contadini della sua bassa. Gente abituata a tirar dritto e a lavorare sodo, poche parole e il bicchiere giusto, quando ci vuole, per scambiarsi due idee sulla politica e sulla vita. I preti vengono su bene, in quelle terre. Anche perché non è facile, vedersela con i rossi da un secolo, litigare e lavorarci insieme. Come don Camillo, solo che lui aveva tanti devoti, anche i comunisti in fondo lo erano, oggi le chiese piene e l’autorevolezza sono il sigillo di uomini in gamba davvero.
Don Ivan è morto al secondo terremoto che ha sconvolto la sua regione, in un minuto, mentre faceva un sopralluogo con due vigili del fuoco per cercare di salvare qualche statua, qualche oggetto, dalla sua parrocchia, Santa Caterina. Gli premeva soprattutto quella Madonnina, cui la sua gente era tanto affezionata. Una trave, una pietra l’ha colpito, e portato a vederla dal vivo, la Madonna.
Non credo che valesse poi tanto, quella statua, la Sovrintendenza ai Beni Artistici non avrebbe pianto vedendola andare in frantumi. Ma la Chiesa cammina da duemila anni sulle ginocchia delle vecchiette che sgranano rosari, piegate davanti alle statue delle Madonne, in ogni chiesa del mondo. Certo, qualche volta questo sguardo fisso più a Maria che al suo Figlio e Padre fa storcere il naso ai teologi. Ma i più intelligenti tra loro sanno bene che la Chiesa tutta si aggrappa a quel manto azzurro, a quelle labbra rosate, sopporta e spera fidando in quel piede delicato che schiaccia il serpente, per sempre, per tutti.
Don Ivan non era un prete all’antica. Né un collezionista di opere d’arte. Quella chiesa era casa sua, e come dicono i Salmi, “lo zelo per la Tua casa mi divora, Signore”. Per questo ci teneva tanto, perché tra quei banchi sfondati, tra le mura sbrecciate e i soffitti pencolanti ha visto alzarsi tante volte le preghiere dei suoi parrocchiani, riletto le storie di ciascuno di loro, pregato e cantato e festeggiato e pianto con la sua comunità. Lui si sentiva responsabile, della sua comunità, e di tutto ciò che per la sua comunità contava. Anche la statua della Madonnina. Quella Madonna che non è una statua, ma il senso della vita, che dà il coraggio anche di perderla, affrontando il terremoto.
Ora, provate a chiedere alla gente di Rovereto se pensa alla crisi della Chiesa, agli scandali del Vaticano, in queste ore. O se è commossa e triste e attonita per il suo parroco. Ma non per la retorica degli alti prelati corrotti, delle stanze nobili che odorano di zolfo al confronto dei poveri preti di base che ripetono all’infinito la parabola del cammello e della cruna d’ago; lo sappiamo perché lo dicono ragione ed esperienza che ci sono i giusti e gli ingiusti dappertutto. Certo, la semplicità, l’umiltà, la fedeltà sono virtù grandi, ed è più facile trovarle a Rovereto. Sono i parroci come don Ivan a portare avanti la Chiesa tutta, e gli scandali non potranno prevalere su di essa.
I preti che aprono ogni mattina i portoni delle loro chiese, s’infilano nei confessionali, ascoltano, sostengono, giudicano, lavorano per il popolo che è stato loro affidato. Se la Chiesa alta va avanti è per merito dei don Ivan di tutto il mondo. Per la pietà di quelle Madonnine così amate e così grate di tanta considerazione, che certamente intercederanno perché nessuno si perda.