Era il 6 luglio del 2008: sul centrale di Wimbledon andò in scena quella che da allora viene considerata la più grande partita di tennis di tutti i tempi. Rafael Nadal batteva Roger Federer in cinque set, conquistava il primo di due Championships e toglieva al Re la possibilità di conquistare il sesto Wimbledon consecutivo. Allora si disse che quell’incontro aveva cambiato per sempre le gerarchie nel ranking ATP; che Federer avrebbe dovuto cedere il passo, che Nadal si sarebbe avviato a dominare. In parte fu così, ma più che altro nelle sfide tra i due: lo svizzero avrebbe sempre mostrato di soffrire tremendamente Rafa, soprattutto a livello psicologico. Nella realtà dei fatti Rogerd dopo quell’episodio ha pur sempre vinto altri cinque tornei dello Slam. Oggi, 25 gennaio 2013, la storia si ripete, ma questa volta c’è davvero il pensiero diffuso che un’epoca sia terminata. Andy Murray è in finale agli Australian Open, la sesta in un Major e la terza a Melbourne. In quattro ore di gioco il britannico ha sconfitto Roger Federer per 6-4, 6-7, 6-3, 6-7, 6-2. Mentre il pubblico della Rod Laver Arena (compreso lo stesso Rod, naturalmente) omaggia i due giocatori e Murray lancia i polsini in tribuna, noi spettatori siamo rimasti lì a guardare le immagini con una sensazione piuttosto netta: ce lo aspettavamo. E allora è naturale che un po’ di tristezza venga, a vedere Federer uscire sconfitto dal campo, senza la possibilità di riprendersi quegli Australian Open che non vince dal 2010 (proprio contro lo scozzese); ma è la tristezza che fa venire un sorriso, perchè abbiamo toccato con mano quello che lo svizzero ha generato nei suoi anni di dominio: tre giocatori che nel tentativo di portarsi al suo livello sono diventati a loro volta ingiocabili per chiunque. Uno di questi è Murray, che domenica sfiderà in finale Novak Djokovic (il secondo, attuale numero uno al mondo) mentre il terzo, il Nadal di cui sopra, prosegue la sua riabilitazione e si prepara a rientrare nel circuito a febbraio. Insomma, diciamolo: oggi forse abbiamo capito che Roger Federer non ha più le armi per battere, sulla distanza dei cinque set, lo scozzese e il serbo. E’ ancora un campione, ovviamente: è arrivato in semifinale quasi sbadigliando, ma oggi si è visto come la freschezza e la voglia dei suoi discepoli faccia la differenza anche contro un Re come lui. Il ritmo impresso da fondocampo da Murray e Djokovic (due caterpillar, li ha definiti Raffaella Reggi) è inarrivabile per lo svizzero, che ha tanta classe in più ma anche un fisico che non è più quello di una volta, quando bastava vederlo entrare in campo per sapere che non avrebbe mai perso. Il primo segnale si era avuto in quel 2008, citato non a caso: allora Nadal lo aveva sfiancato sul piano del ritmo, rendendo vana la sua strepitosa rimonta (favorita anche dalla pioggia). Nella notte di Melbourne Murray ha servito nuovamente il piatto dell’intensità da fondo: Roger ha dimostrato di essere grande vincendo i due tie break (nel terzo set aveva perso il break di vantaggio che si era costruito), ma quando lo scozzese è riuscito a strappare il servizio non c’è stato niente da fare. Non è certo la fine di Federer: Pete Sampras, il suo mito, ha vinto gli US Open a 32 anni, e non c’è niente che ci impedisca di pensare a un’impresa simile da parte di Roger, per esempio già a Wimbledon dove al di là di tutto rimane favorito per la storia che ha scritto su quel campo. Tuttavia, i tempi del suo dominio non ci sono più: il Re è senza corona, ancora una volta, come in quel 2008. Allora si era rialzato, oggi gli manca il tempo. Domenica mattina dunque (ore 9:30 italiane) saranno Novak Djokovic e Andy Murray a sfidarsi nella finale degli Australian Open. Per Nole può arrivare la quarta affermazione in serie a Melbourne e il sesto titolo dello Slam; Murray è alla sesta finale e può arrivare al secondo Major dopo aver vinto gli ultimi US Open proprio contro Djokovic, in una finale terminata al quinto set. Rischia di essere la rivalità del decennio, dopo quella tra Federer e Nadal: nei precedenti guida Djokovic 10-7, il serbo sul cemento ha decisamente una marcia in più anche se Murray su questa superficie l’ha già battuto cinque volte. Sono sette le finali con lo scontro diretto: Murray ne ha vinte 4, ma negli Slam il bilancio è in parità (Nole ha vinto qui nel 2011). Pronostico? Aperto a qualunque risultato: Djokovic ha sofferto tantissimo contro Wawrinka negli ottavi ma ha dimostrato di essersi ripreso alla grande travolgendo Berdych e Ferrer, ha un giorno di riposo in più e a Melbourne domina da tre anni. Murray però ha acquisito convinzione dalla semifinale (decisamente più impegnativa) e nell’ultimo precedente “lungo” ha vinto lui. Che si aprano le danze, quindi; non prima di aver tributato una standin ovation a Roger Federer.
(Claudio Franceschini)