Nell’ambito del Convegno Nazionale dell’Associazione DIESSE, Vivere la scuola: una sfida alla libertà (Bologna, 18 ottobre 2014) nella sezione Le botteghe dell’insegnare i docenti che hanno partecipato alla bottega della matematica si sono interrogati su quello che considerano «fare matematica», cercando di andare a fondo della riflessione sul senso della propria disciplina e di tracciare alcune linee di metodo di insegnamento.
Riporto di seguito una sintesi dei punti toccati, augurandomi che possano iniziare un ampio confronto e un percorso di approfondimento con i lettori della rivista.
Un’attività che coinvolge tutta la persona
Lasciandoci guidare dal pensiero di Hans Freudenthal, che in Ripensando l’educazione matematica (1994) sostiene che la matematica è un’attività, ci siamo resi conto che la prima questione da «stanare» in noi insegnanti (e non solo) è che la matematica è un’attività che coinvolge tutta la persona. Per capire la matematica occorre il pensiero, occorre lo sguardo, a volte occorrono le mani e addirittura le orecchie! Per capire al meglio qualcosa dobbiamo entrarci dentro con tutti noi stessi.
Dobbiamo scrollarci di dosso – soprattutto gli insegnanti delle scuole secondarie di secondo grado non sempre disponibili a questa attenzione – l’idea che il manipolare, il giocare, il ritagliare, il piegare sia «roba da bambini». Constatiamo invece che, almeno nei primi anni, ma spesso anche dopo, molti ragazzi non si infastidiscono a questo tipo di proposte, anzi le accolgono con interesse.
Per esempio, costruire concretamente in carta l’immagine del cubo di un binomio con l’origami (Figura a destra), interpretando il significato della formula algebrica dal punto di vista geometrico, comporta un’oretta di lavoro per l’intera classe, ma da questo lavoro i ragazzi avranno avuto la possibilità di vedere la formula e di capirla da un altro punto di vista. Inoltre questo approccio potrebbe essere usato per correggere eventuali errori.
Un altro possibile esempio riguarda la visualizzazione della proprietà geometrica che la somma degli angoli interni di un triangolo è 180°, molto opportuna lavorando con ragazzi della secondaria di primo grado, ma utile anche dopo. Ritagliamo un modello in carta o cartoncino, e piegando in modo opportuno il triangolo, vediamo che la somma degli angoli è 180° (Figura 1 qui nel seguito).
Il modello concreto non è una dimostrazione matematica: abbiamo preso un solo triangolo e abbiamo notato che il valore della somma degli angoli interni è 180°, accostandoli fisicamente. La visualizzazione di un caso particolare però può essere un primo passo su cui la mente può lavorare per poi avere la possibilità di vedere con il pensiero il caso generale, e infine cercare di dimostrarlo per ogni triangolo.
Figura 1
In questo modo per il ragazzo l’astrazione non sarà un non vedere, ma un vedere di più, e scoprirà che la matematica si può vedere anche e soprattutto con il pensiero!
Guardando con gli occhi un caso particolare, un ragazzo può essere aiutato a immaginare il caso generale, a porsi la domanda se quanto notato una volta possa essere vero per ogni tipo di triangolo, e quindi può desiderare di cercare una strada per verificare su un qualsiasi triangolo quanto notato. Se riuscirà a dimostrarlo, ritornando poi al caso particolare, lo guarderà per ciò che è, e capirà la grandezza di una vera dimostrazione in matematica: quattro o cinque passaggi, per dimostrare una relazione valida per infiniti triangoli!
Non è sempre facile vedere la matematica, o trovare esempi di questo tipo, ma per gli insegnanti è un buon metodo cercare di provarci quando possibile, perché in questo modo si possono aiutare anche ragazzi che hanno qualche difficoltà nell’apprendimento a visualizzare un concetto, memorizzandolo più facilmente.
Chi ha detto, per esempio, che la matematica non si può ascoltare?
Nella classe quarta del liceo artistico studiamo le funzioni goniometriche, e vediamo come cambiano i grafici corrispondenti in base alle trasformazioni geometriche. Infatti un segno può ribaltare il grafico della funzione rispetto a un asse, oppure la moltiplicazione della funzione per un numero può dilatare il grafico della funzione rispetto all’asse y.
Nello stesso anno, in fisica studiamo le onde, in particolare le onde sonore, rappresentabili con funzioni goniometriche. Oltre a far vedere ai ragazzi che ogni singolo coefficiente e segno in una equazione ha un senso, in quanto trasforma il grafico corrispondente – esso infatti è traslato, contratto, dilatato … – perché non far sperimentare loro che anche il suono dipende da quei numeretti?
Così lo studente non solo potrà vedere cosa cambia nel grafico, ma anche sentire cosa cambia nel suono; infatti, cambiando l’ampiezza, cioè il coefficiente moltiplicativo della funzione sinusoidale, aumenta o diminuisce il volume; variando il coefficiente della x all’interno dell’argomento della funzione sinusoidale aumenta o diminuisce la frequenza, e il suono risulta più o meno acuto.
Se crediamo che la matematica sia un’attività, dobbiamo comprendere che limitandoci a insegnare delle regole e a farle applicare, non stiamo coinvolgendo tutta la persona, anzi! Gli studenti si rassegnano a usare solo certi automatismi, addirittura pensando ad altro: ci sono studenti che disegnano mentre noi spieghiamo, o ascoltano musica mentre fanno esercizi!
Credo invece che sia possibile tuffarci nel mare della matematica e lì scoprire cosa si sente, cosa si vede, come si nuota!
La persona è più dei suoi sensi
Tuttavia, non possiamo neanche ridurre la persona ai suoi sensi, perché la persona è molto di più! Ogni studente ha dentro di sé un mondo di domande che noi dobbiamo cercare di attivare, come se fossimo un defibrillatore o un amplificatore di desideri. L’uomo ha dentro di sé il desiderio di libertà, di verità, di pace, di bellezza, il desiderio di capire il senso delle cose, di costruire qualcosa di nuovo e di utile e, in particolare, ha in sé il desiderio di conoscere l’infinito.
Noi insegnanti di matematica crediamo che questi desideri possano essere ridestati attraverso la nostra materia? O pensiamo – come molti pensano – che la matematica non c’entri affatto con tutto questo?
Qui entra in gioco la concezione che abbiamo della nostra materia d’insegnamento. Innanzitutto, la matematica è ricerca di verità: ne siamo convinti, più o meno lucidamente, quando ricerchiamo il risultato giusto di un esercizio, la soluzione di un problema, la dimostrazione di un teorema.
In matematica si capisce bene che la verità non la si possiede, è data: anche il ben noto teorema di Pitagora non è «di» Pitagora, è dato e, in quanto dato, è dato a tutti.
Occorre l’umiltà nel riconoscere questa verità, oltre un corretto modo di ragionare o di procedere. La scoperta di uno diventa dono per tutti e siccome questa verità è per tutti, nella matematica è come se albergasse una pace, una giustizia interna. Chi di noi dopo aver risolto in modo corretto un esercizio non si è sentito soddisfatto, quasi in pace? È il segno che ci preme anzitutto ricercare e conoscere la verità.
Se ci soffermiamo poi sulle tante diverse dimostrazioni date dai matematici al teorema noto come teorema di Pitagora, constatiamo che in matematica è possibile essere liberi e anche creativi. Facendo matematica ognuno può scegliere la propria strada per arrivare alla verità, e a un certo punto, in un certo istante, la verità «accade». Questo è il metodo; ci sei tu, con la tua strada, con la tua personalità, con tutta la tua persona, con la tua domanda, con la tua libertà: «Accetti o no la sfida del problema?». Poi a un certo istante … qualcosa può accadere, la realtà risponde.
Va poi anche sottolineato che la libertà non sta nello scegliere una o l’altra strada per affrontare un problema o una dimostrazione, ma soprattutto la libertà è un legame. È il legame con la verità, con il metodo imposto dalla disciplina. È questo legame che permette di proseguire su una o sull’altra strada senza perdersi.
Questa riflessione ci aiuta a sottolineare anche un altro aspetto.
Ognuno si trova in un preciso punto della realtà, della storia e dell’esperienza, da cui vede le cose in una prospettiva che è solo sua, unica. Dunque, il contributo che viene da quel preciso punto di osservazione è essenziale per la conoscenza.
Ecco perché, in matematica, secondo me si capisce bene l’importanza dell’altro: la scoperta dell’altro, la sua visione della realtà mi aiutano a vedere la verità sotto un’altra angolazione e a riscoprirne ancora una volta la bellezza e la profondità.
È bello, usando quest’approccio, coinvolgere i ragazzi nell’indagine di alcuni snodi della storia della scienza; a partire dalle domande dei grandi fisici e matematici del passato anche i ragazzi iniziano a farsi e a fare domande.
Regole e definizioni
Spesso, troppo spesso, in matematica ci si limita a insegnare regole o definizioni, una delle cause del diffuso disamore per questa materia, invece così ricca di senso. Ci siamo chiesti da dove vengono e cosa sono in realtà?
Le regole, come le definizioni, non sono un’imposizione: sono giudizi sull’esperienza, sono conquiste. Una regola nasce per non fare di nuovo, ogni volta, tutti i passaggi di un procedimento: quindi sapere una regola e saperla applicare conviene!
Ma aver insegnato ai ragazzi a dimostrare vale molto di più, perché avremo anche instillato in loro il bisogno di non fermarsi all’apparenza del caso particolare, il desiderio di ricercare un perché, un senso nelle cose e avremo dato loro un metodo per scoprire cose nuove.
Quanto alle definizioni, esse sono descrizioni degli oggetti che trattiamo. Abbiamo mai pensato come insegnare a definire un oggetto, e quindi come insegnare a descrivere un oggetto dal punto di vista matematico?
Proviamo a inventarci un gioco a squadre, con un mazzo di carte in cui ci sono scritti i nomi degli oggetti matematici che stiamo trattando e che ci interessa comprendere e definire. Un ragazzo estrae una carta, supponiamo che abbia scritto «quadrato»: senza farla vedere, deve farla indovinare alla sua squadra usando solo le parole. Chi vincerà? Beh, chi descriverà nel modo più sintetico possibile e senza equivoci l’oggetto della carta pescata.
Ecco, allora che i ragazzi possono comprendere meglio il valore di una definizione: la descrizione più sintetica e senza equivoci di un certo oggetto.
Scoprire il senso e la bellezza delle cose
La matematica non ci insegna solo questo: tramite essa possiamo scoprire il perché delle cose, perché le cose sono fatte in un certo modo e non in un altro.
Per esempio, abbiamo mai chiesto agli studenti perché i barattoli dei pelati hanno forma cilindrica e non di parallelepipedo? Perché dopo la sfera, a parità di superficie esterna (cioè a parità di latta da usare) il cilindro è la forma che contiene il volume maggiore (quindi maggiore quantità di pelati). Conviene quindi usare barattoli di questa forma, perché contenendo una maggiore quantità di pelati, si può alzare il prezzo del singolo pezzo.
Fare questo tipo di osservazioni con i ragazzi li porta a comprendere che le cose hanno un significato, ed essi scoprono il legame che lo fa vedere, come quello tra forma e volume per il barattolo. Non sempre conosciamo perché una cosa è stata costruita in un certo modo, ma ponendoci delle domande adeguate, potremmo arrivare alla risposta. Il progresso inizia ogniqualvolta un uomo pone una domanda che non è ancora stata fatta!
Se proviamo a essere con i nostri studenti come defibrillatori o amplificatori di domande e desideri, vedremo accadere qualcosa e rifiorire non solo le loro persone, ma anche il mondo che ci circonda perché esso apparirà pieno di significato o di cose da scoprire.
E tramite la matematica insegneremo loro a essere caparbi, a non mollare di fronte ai problemi della vita, ma ad accettarne la sfida: allora ne vedremo delle belle!
Grazia Cotroni
(Docente di Matematica e Fisica al Liceo Artistico Statale “Guido Montauti” di Teramo)
© Pubblicato sul n° 56 di Emmeciquadro