Giusto così. Che Novak Djokovic abbia vinto gli Australian Open 2013, quarto titolo a Melbourne, terzo consecutivo e quinto Major in carriera, rappresenta il giusto coronamento di un torneo, quello del singolare maschile, che ha vissuto di poche sorprese fino al termine, e si è chiuso nel modo più scontato ma non per questo meno entusiasmante. Se il pronostico rispettato fosse sinonimo esclusivamente di noia, forse tutte le vittorie di Roger Federer e Rafa Nadal in questi anni sarebbero state bollate come un fastidio; e invece no, quindi anche Novak Djokovic merita di essere celebrato come si deve, perchè è chiaro a tutti che almeno da tre anni è il tennista più forte del pianeta quando si tratta di giocare sul cemento e che da fondo campo non c’è un singolo tennista che possa tenergli testa, anche se spesso e volentieri c’è qualcuno che ci prova. L’ultimo è stato Andy Murray, che lo aveva fatto fuori agli US Open giusto una manciata di mesi fa. Allora però c’era vento, Nole aveva qualche problemino alla schiena e lo scozzese era sembrato essere l’uomo che il destino aveva messo lì al momento giusto, pronto a prendersi quello che Federer gli aveva tolto a Wimbledon. Esaurito il compito di scrivere la pagina romantica e di pareggiare, come nei libri, quanto il suo maestro Ivan Lendl aveva fatto nella sua carriera di giocatore (Slam vinto alla quinta finale), Murray è rientrato nei ranghi, o meglio: ha continuato a giocare come sa, in quel modo che gli ha permesso di arrivare al secondo posto del ranking ATP; ma questo modo non è stato sufficiente per spezzare il dominio di Djokovic, che in questo torneo australiano ha rischiato davvero tantissimo quando ha incrociato Wawrinka ma poi è arrivato in finale ridendo, superando Berdych e Ferrer come un allenamento. La finale di oggi per molti era una formalità, ma per i primi due set è stata battaglia vera: Murray ha mostrato tutti i suoi punti di forza martellando e martellando, nessuno è riuscito a prendere il servizio a nessuno e così per due volte si è arrivati al tie break. Il primo dominato dallo scozzese, il secondo dal serbo. Si pensava che l’equilibrio sarebbe durato e che avremmo assistito a una finale stile 2012, quella infinita con Djokovic che aveva piegato Rafa Nadal dopo quasi sei ore; e invece no, perchè stavolta sul 4-3 del terzo set Nole ha messo il turbo, ha salutato Murray e ha deciso che era ora di vincere la partita. Break, e via a prendersi il parziale per 6-3; poi nel quarto set la partita non c’è più stata, perchè Andy ha capito che contro questo Djokovic c’era ben poco da fare e sostanzialmente ha chiuso baracca e burattini. Djokovic ci ha messo poco: due break a fare la differenza, e chiusura 6-2. E’ durata tre ore e quaranta minuti: rispetto alla maratona dello scorso anno è stato come una partita di primo turno tra una testa di serie e un qualificato. Ma lo spettacolo c’è stato: Novak Djokovic e Andy Murray sono destinati a dominare i prossimi anni e a giocare ancora tante finali Slam l’uno contro l’altro (questa era la terza). Rafa Nadal permettendo, ovviamente.