Un recente intervento del Cardinale Angelo Scola aiuta a mettere a fuoco le questioni decisive sottese al tema dell’Esposizione Universale.
Il richiamo all’ecologia come discorso sulla «dimora» e quindi sull’uomo come essere-in-relazione, indica la prospettiva più ampia per inquadrare l’argomento in ambito scolastico e per impostare in modo adeguato le eventuali visite al sito espositivo.
Con l’avvicinarsi dell’appuntamento di EXPO Milano 2015 si intensificano le notizie e le comunicazioni sui diversi aspetti del grande evento e sulle tante opportunità di conoscenza, di incontro, di dibattito, di svago.
Le aspettative sono elevate e già da questi primi mesi di visibilità dei tanti protagonisti, nazionali e internazionali, che si avvicenderanno sul palcoscenico del sito espositivo di Rho-Pero appare evidente il rischio della dispersione e della frammentazione dei messaggi che verranno lanciati.
Anche per questo, soprattutto per chi è impegnato in un’azione educativa, è importante poter individuare alcuni nuclei tematici centrali, attorno ai quali far ruotare e dare una adeguata collocazione a iniziative, attività, esperienze che coinvolgeranno le scuole nei prossimi mesi.
Per questo ci sembra particolarmente preziosa la riflessione che il Cardinale di Milano Angelo Scola sta proponendo dalle colonne de IlSole24 Ore e che qui vogliamo rilanciare nei suoi passaggi salienti.
La riflessione (Una Terra da custodire e da coltivare, 07/03/2015) inizia con la constatazione che il rapporto con l’ambiente ha acquisito «un’inedita centralità» nelle nostre società attuali, segnate da mutamenti su scala globale e dominate da un accelerato sviluppo tecno-scientifico. Inoltre, «le non poche calamità naturali con cui ci si siamo dovuti misurare anche in questo inizio del terzo millennio, con le loro rovinose conseguenze, ci hanno forse destato da un certo delirio di onnipotenza con cui nei decenni precedenti avevamo vissuto anche il nostro rapporto con l’ambiente».
Un giudizio sintetico e molto eloquente richiamato dal Cardinale è quello contenuto nell’enciclica Centesimus annus (1991) dove San Giovanni Paolo II parlava espressamente di «errore antropologico»: «L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della Terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma e una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della Natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui».
Le implicazioni di tale giudizio sono enormi sul piano educativo e persino didattico. Indicano una modalità di guardare non solo il rapporto con la Natura, ma tutto l’operare umano, tutte le attività con le quali l’uomo manipola le cose; suggeriscono un modo di valutare la tecnologia e più in generale le tecno-scienze; una valutazione non irrilevante nell’impostare l’insegnamento delle discipline scientifiche e tecnologiche.
Nelle considerazioni del Cardinale Scola si inserisce poi un elemento di attualità, con la constatazione di una certa inversione di tendenza e con la diffusione su larga scala di comportamenti virtuosi; anche se vanno realisticamente evidenziati comportamenti contraddittori, come quelli che vedono convivere negli stessi contesti urbani situazioni di indigenza con spese considerevoli per la gestione dei numerosi animali domestici.
Resta comunque il fatto che «in non pochi contesti sociali si assiste, e in forma crescente, a uno scatto di responsabilità nei confronti dell’ambiente […]; il comando biblico di custodire e coltivare, che i nostri padri contadini hanno seguito per secoli, sembra tornato attuale».
Con un’interessante puntualizzazione sull’idea di «cura» e del «custodire», che non indica un’azione puramente difensiva, di mantenimento, come un certo uso delle espressioni tutela dell’ambiente o protezione ambientale possono far pensare. La cura e la custodia devono essere abbinate al verbo «coltivare», e portare così a un’immagine, e a una pratica, generativa e creativa, che saprà utilizzare con equilibrio e intelligenza tutte le risorse messe a disposizione dalla ricerca scientifica e dall’innovazione tecnologica.
Tuttavia, continua il Cardinale, «se da un lato non si può non parlare, e con soddisfazione, di uno scatto di responsabilità, dall’altro non si possono ignorare le domande fondamentali sul significato e sui criteri di tale responsabilità: che cosa significa essere responsabili dell’ambiente? Come si può adempiere un tale compito? È un problema di quantità o di qualità? Quali leggi per garantirlo e, soprattutto, quale educazione?».
Non si può non vedere nella imminente EXPO 2015 un’occasione privilegiata per cercare risposte a questi interrogativi. E l’articolo, preannunciando una serie di contributi in proposito, inizia a soffermarsi sul concetto che rappresenta forse il contributo più originale che il magistero degli ultimi pontefici ha offerto al dibattito ambientale: quello di «ecologia umana».
Ne aveva già fatto un cenno nel 1973, il Beato Paolo VI, ma nella Centesimus annus se ne trova un consistente approfondimento, in particolare al n. 38: «Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli habitat naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all’equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un’autentica “ecologia umana”. Non solo la Terra è stata data da Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l’uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita attenzione a una “ecologia sociale” del lavoro».
Papa Benedetto XVI ne ha parlato più volte e l’enciclica Caritas in veritate ne chiarisce i contorni: «Come le virtù umane sono tra loro comunicanti, tanto che l’indebolimento di una espone a rischio anche le altre, così il sistema ecologico si regge sul rispetto di un progetto che riguarda sia la sana convivenza in società sia il buon rapporto con la natura. Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno basta un’istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispettano il diritto alla vita e quello alla morte naturale, se si rendono artificiali il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale».
Papa Francesco, fin nell’omelia di inizio pontificato, esortava: «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato San Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore».
Per motivare e a rafforzare il richiamo del magistero pontificio all’ecologia umana, il Cardinale Scola riparte dal significato etimologico della parola stessa, eco-logia, che non è un generico discorso (o sapere) sull’ambiente, ma ha la radice nel termine greco oikos che vuol dire anzitutto casa, dimora. E la parola casa – osserva il Cardinale – rispetto alla più neutra ambiente (ciò che sta intorno, participio presente del latino amb-ire), mette inequivocabilmente in campo l’uomo. «La casa è la dimora dell’uomo e per l’uomo. E dell’uomo come essere-in-relazione. Perciò, dall’origine, l’espressione “ecologia umana” dice la solidarietà tra uomini che popolano i vari mondi geopolitici e, ancor prima, quella tra padri, figli e nipoti».
Inoltre – aggiunge – un ambiente dissestato è normalmente espressione di un uomo dissestato. Qui sembra di scorgere un esplicito rimando a quanto Papa Ratzinger aveva espresso nel messaggio per la XLIII Giornata Mondiale della Pace, richiamando quanto già scritto nella Caritas in veritate: «Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio. Non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a rispettare se stessi: il libro della Natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale. I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri».
Il Cardinale Scola fa suo questo suggerimento educativo, anche se dà atto alla scuola di aver fatto passi notevoli nella direzione di una educazione ambientale non ridotta a semplici comportamenti esteriori e un po’ rituali. E ritorna sulla chiave di lettura antropologica: «L’uomo del terzo millennio non può ridursi al suo proprio esperimento. In termini sempre più acuti la domanda di senso (significato, direzione di cammino) lo ferisce. Su quale figura di uomo “scommettere” per assumere in prima persona la geniale e sempre attuale affermazione di Pascal che “l’uomo supera infinitamente l’uomo?” Che pensa, che dice l’uomo post-moderno, come affronta la questione degli affetti, del lavoro, del riposo, del male fisico, della morte, del male morale, dell’educazione, dell’edificazione di una società giusta?».
La questione dell’ambiente quindi non si può separare da quelle che ogni giorno toccano la carne della persona-in-relazione continua con l’ambiente; questa osservazione si traduce in una potente indicazione metodologica per impostare una valida ed efficace educazione ambientale. «Non esiste ecologia adeguata che non domandi l’ecologia umana».
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
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© Pubblicato sul n° 56 di Emmeciquadro