Recentemente ho sottoscritto un protocollo d’intesa in tema di welfare con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali della Repubblica Popolare Cinese. Quando ho dovuto portare al mio interlocutore esempi di eccellenza del nostro sistema di protezione sociale non ho avuto dubbi nel citare la Lombardia come la migliore esperienza che l’Italia possa rappresentare. Credo innanzitutto per un semplice ma non banale criterio di fondo: un welfare moderno non può essere organizzato e costruito in maniera settoriale ma richiede una visione d’insieme, una regia che ponga al centro della propria azione il bisogno della persona. Questo si esprime in molteplici esigenze particolari che devono trovare risposte specifiche ma indubbiamente, essendo riconducibile all’unitarietà della persona, non può essere segmentato in origine.
Tale visione, che ho provato ad esprimere nel Libro bianco sul futuro del modello sociale, “La vita buona nella società attiva”, ha trovato in Lombardia un robusto ancoraggio nella tradizione sociale e culturale, rappresentando il presupposto per ripensare all’impalcatura del nostro welfare. Stato, regioni ed enti locali non possono non mettersi in discussione per affrontare le sfide dei tempi, chiamati come sono a superare vecchi schemi centralisti, troppo spesso segnati da ideologie inadeguate. Basta analizzare i risultati del modello lombardo in termini di qualità del servizio offerto per rendersi conto di come sia conveniente – anche dal punto di vista finanziario – puntare sulla libertà e la responsabilità della persona e dei corpi sociali.
Sanità e assistenza, scuola, formazione e lavoro, lotta alla povertà, sono moltissimi gli ambiti nei quali poter sperimentare la sussidiarietà. Dalla riforma costituzionale del 2001 ad oggi, il principio di sussidiarietà è senza dubbio entrato nel linguaggio degli italiani, non si può dire, però, che sia stato pienamente compreso nella sua essenza e largamente applicato dalle pubbliche amministrazioni. Il malinteso più frequente è stato concepire la società civile e la sua creatività nel comporsi e nell’organizzare risposte ai bisogni emergenti come sussidiaria all’azione statale nelle sue varie declinazioni: cioè esattamente il contrario di quello che è il principio di sussidiarietà!
In Lombardia, invece, grazie alla fortunata integrazione tra una classe politica e dirigente pronta a cavalcare le praterie della sussidiarietà e una ricchissima compagine sociale, fatta di cooperative, imprese, associazioni, volontari, fondazioni, straordinaria espressione della vivacità civile, si è riusciti a innovare profondamente la struttura dei servizi pubblici, superando la sterile identificazione tra pubblico e statale.
Accreditamento e convenzioni, libertà di scelta, voucher e compartecipazione sono idee sussidiarie che hanno trovato concreta applicazione in Lombardia, diventando così l’espressione più matura di quella che definirei una welfare community: dalla burocrazia e dall’apparato alla persona e alle famiglie, dall’assistenzialismo alle opportunità, dalla spesa pubblica come unica fonte di finanziamento al coinvolgimento del mercato e del no profit. Il buono scuola, il sistema socio-sanitario-assistenziale convenzionato, la dote lavoro e l’apprendistato sono solo alcuni degli strumenti nati dall’approccio sussidiario che permette alla Lombardia di essere il motore dello sviluppo del Paese e una terra a diffusa vocazione solidaristica.
L’Italia ha davanti a sé la sfida epocale di superare un modello di crescita e di protezione sociale incentrato sullo Stato e sul debito pubblico. Guardando all’esperienza lombarda non dobbiamo più avere dubbi per ridefinire funzioni e priorità, pronti ad aggredire rendite di posizione e a chiamare a raccolta le migliori energie sociali. Quando l’Italia promosse la riunione del G8 nel 2009 a Roma, venne impiegato uno slogan che potrebbe ben indicare la via di questo cambiamento: People first! La storia del popolo italiano – ancor prima dello Stato unitario – è segnata da questa identità che oggi dobbiamo riscoprire e affermare con convinzione, pena un declino sociale ed economico che non possiamo subire.