Rebecca Judd è una signora di trentuno anni, sposata, con due bambini, un maschietto ciccio e biondo di tre anni e una bimba nata a febbraio scorso. Oh, verrebbe da dire, finalmente una normale nel mondo dello showbiz. Suo marito infatti è un calciatore, Chris, e lei una ex-modella australiana divenuta famosa per una passerella in cui indossava un abito rosso che la lasciava seminuda, così sexy e chiacchierato da essere poi messo all’asta.
Lei, bellissima ovviamente, si è sistemata; ora lavora in televisione, pare faccia la presentatrice in un programma meteorologico di Melbourne. Perché parlare di lei? Forse per dire come ci si possa realizzare nella vita privata nonostante si abbia un fisico mozzafiato?
No, ma del suo fisico sì.
Anzi, come detta la moda del momento, si parla del suo “selfie” in cucina, davanti a un frigorifero d’acciaio grande quanto un’astronave. Il suo autoscatto, in buon italiano, la mostra in bikini, in punta di piedi, appollaiata su gambe da cicogna e con una pancia che non è piatta, ma scavata, con le costole in vista e spalle che pungono. Tale foto, secondo le sue dichiarazioni, serve a dimostrare che si può rientrare in forma dopo il parto!
Dipende da che tipo di forma, si potrebbe obiettare; le madri affamate e denutrite dei Paesi poveri potrebbero sentirsi lusingate, peccato non lo sappiano (o non hanno i mezzi per postare un selfie). Il suo training? Solo un po’ di esercizio fisico casalingo, tipo pilates, e poi mangiare di tutto: ecco, questo le madri suddette non lo fanno, mangiare intendo, mentre l’esercizio in genere è nei campi, per prendere acqua ai pozzi, per le strade a elemosinare…
Ma rischiamo di cadere nel banale, come pure fanno quelli che protestano accusandola di incitamento all’anoressia.
“Mai abbastanza ricca, mai abbastanza magra” recita il mantra della moda.
E in effetti, bisogna essere magre per fare le modelle; bisogna essere veloci per correre i cento metri, essere forti e salde per sciare in pista, toste e dalle spalle larghe per nuotare; mi vengono in mente una serie di atlete bellissime, magari magre ma non certo scheletriche.
A cosa serve il corpo di una donna? Allo sport? A indossare un bell’abito? Serve un corpo per insegnare fisica all’università? Per cucinare, lavare, stirare, per scrivere poesie?
Oh, sì, a tutto serve il corpo. Il corpo delle donne poi serve anche a dare la vita, ma questo è un capitolo successivo e speciale, e il corpo delle donne è saccheggiato anche in tale specifica dote. Anche a un uomo serve il corpo. A tutti.
A dirla dal principio il corpo serve a vivere.
A seconda di come uno decide di vivere, il corpo viene usato, assecondato o plasmato. È ciò che siamo che si riflette nel nostro corpo. “Mens sana… ” dicevano i latini, dando la precedenza all’intenzione, all’anima.
Possiamo tranquillamente dire allora che la nostra Rebecca ha un’anima esile e magra, felice e orgogliosa della sua pochezza; contenta lei.
Contente forse le nostre figlie, anzi, scontente del proprio corpo, mai abbastanza magro. Infelici, in lotta con sacrifici e fame, per piegare la propria fisicità al servizio di un ideale vuoto come la moda, svuotato come una taglia 38. Per poi magari chiedere di essere gonfiate di silicone in punti strategici. Votate a una perenne infelicità, inconsistenza, fragilità.
È questo quello che vogliono? Lo vogliono loro o sono indotte a volerlo, per evitare di fare i conti con una fame altra, che non può essere saziata da qualcosa che si compra in boutique? Ma anche questi discorsi possono essere accantonati, pur importantissimi e inderogabili, per arrivare a fare un passo in più: a cosa ti serve avere un corpo magro, cosa urla l’immagine di te, cosa urta nel cuore di chi ha abbastanza consapevolezza per capire la tragicommedia della tua vita?
Forse solo la perdita della bellezza; a me manca il senso della vera bellezza.
Non sei certo bella, cara Rebecca, o figlia persa nello specchio, deformata e ascetica.
Essere belle non è essere magre o grasse o atletiche o giovani. Ma essere felici, anzi, essere capaci di fare felici un uomo, un figlio. Un altro.
Essere capaci di suscitare sguardi di ammirazione (non di invidia), di gratitudine sincera. Come ti guarda un uomo dopo che l’hai amato (e non indossi niente), lì sai che sei bellissima.
O quando, quasi all’alba, immersa nella luce verde di un sole che non si è ancora deciso, i capelli arruffati, le occhiaie profonde da notte dei morti viventi, in ciabatte e distrutta ti affacci per la decima volta al bordo di un lettino, da cui un marmocchio chiama, insistentemente, lamentosamente: “mamma, mammmmmaaa…” e lui, vedendoti apparire, esclama un sorridentissimo: “bella!“.