Si è svolta ieri la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica di Milano. Ospite d’eccezione, il neoarcivescovo del capoluogo lombardo, Angelo Scola. Che, prima di approdare a Venezia, nelle vesti di patriarca, anni addietro era stato studente proprio dell’università fondata da padre Agostino Gemelli. Dopo la Messa nella basilica di Sant’Ambrogio, cui hanno partecipato docenti e studenti, ha svolto la sua prolusione in Aula magna. E ha ricordato a chi ascoltava che «la ricerca, l’insegnamento e lo studio non sono che una modalità di collaborazione comunitaria e personale all’azione salvifica di Dio». Abbiamo chiesto a Mauro Magatti, presente all’incontro nelle vesti di preside della facoltà di Sociologia, di riassumere i punti salienti.
Anzitutto, che clima ha trovato Scola ad accoglierlo?
Di grande attesa e curiosità. Scola, infatti, è arrivato in Cattolica come arcivescovo, ex studente e figura intellettuale di grande rilievo. Il mix di questi tre elementi ha costituito un aspetto in grado di attirare parecchio l’attenzione. Nel corpo docente c’era molta voglia di capire cosa sarebbe successo.
Quali sono stati i punti centrali del suo discorso?
Sia nell’omelia, durante la messa a Sant’Ambrogio, che nel discorso in Aula magna, ha fortemente insistito, anzitutto, sul concetto di comunità universitaria ex corde ecclesiae; ovvero: o la Cattolica si rivela espressione della sensibilità che la Chiesa ha nei confronti del mondo, o varrà a poco che continui a definirsi tale. In particolare, nello specificarne le peculiarità nei termini di luogo di ricerca e studio, ha precisato quale sia l’atteggiamento che, oggi come mai, le sfide culturali poste in essere le richiedono. Richiamando, anzitutto, al corretto rapporto tra l’attività di studio e di ricerca e al contenuto di questa attività.
Ovvero?
Ha tentato di smascherare la pretesa di oggettività della comprensione scientifica astratta e asettica che separa il soggetto conoscente dal suo oggetto. Richiamando Von Balthasar, ha ricordato che ciò che non è amato non può essere conosciuto. La conoscenza, quindi, non può essere altro che un atto d’amore che non si esaurisce; e, come tale, non giunge mai ad un punto di arrivo conclusivo, ma si approfondisce sempre di più. Va da sé che questo procedimento richieda il coinvolgimento del soggetto, sia esso lo studente o il professore.
Che contributo specifico potrà dare Scola all’Università Cattolica?
Potrà, da un lato, rappresentare un pungolo intellettuale, aiutandola a definire correttamente alcune delle domande attorno alle quali le energie di noi ricercatori debbano essere dedicate; dall’altra, contribuendo a generare quel clima di dialogo e confronto capace di rendere il mondo accademico e il corpo studentesco un’unica comunità. In questo, il suo modo di fare franco e diretto, credo possa dare una mano a superare tutte le timidezze e ingessature che, per quanto comprensibili, limitano quella spinta che, di questi tempi, è quanto mai indispensabile avere.
Come potrà incidere, invece, il suo magistero sociale sulla comunità milanese?
E’ possibile estrapolare un’indicazione osservando la sua attività precedente, a Venezia. Dove ha sviluppato il tema del dialogo interreligioso e interculturale, coniando il termine meticciato, e consentendo alla sede del Patriarcato di reincarnare il ruolo che ha avuto nei secoli precedenti, in quanto ponte di collegamento tra occidente e oriente. Mi aspetto che faccia un’operazione analoga. Allo stesso modo, infatti, credo che possa aiutare Milano a valorizzare e ridare smalto al suo ruolo in Italia e nell’Europa contemporanea. Il suo magistero, un po’ per volta, potrebbe orientarsi in questa direzione. Scola potrebbe declinare alcune sue sensibilità, rileggendo il capoluogo meneghino alla luce della tradizione ambrosiana.
A quali sensibilità si riferisce?
Alcune le ha già espresse: la questione relativa al dialogo e al meticciato, la vita buona all’interno della città e la ricerca della verità come elemento prezioso per fondare la vita comune. Non escludo che la sua opera in seno alla comunità milanese possa concentrarsi su questi temi. Oltre che, ovviamente, data la crisi in atto, su quelli sociali.
Crede che possa anche dare un apporto alla comunità scientifica e accademica milanese, presa nel suo insieme?
Milano, rispetto a Venezia, è molto più centrata sulle dinamiche tecnico-economiche e, dal punto di vista della ricerca scientifica, sulle domande relative alla crisi finanziaria e ai nuovi modelli da attuare. Considerando che il cardinale, oltre che teologo è filosofo, e che ha passato gran parte della sua vita ad insegnare, sono convinto che non si sottrarrà alla sfida.