Piero Bassetti, primo Presidente della Regione Lombardia, ha sempre una visione più ampia dei problemi. Da vero e appassionato uomo politico, che alla fine degli anni Sessanta veniva soprannominato il “Kennedy della politica italiana, Bassetti guarda oggi con attenzione al presente, ma pensa già al futuro, cerca di vedere come si potrà fare politica nei prossimi anni, quali nuovi protagonisti entreranno in scena, quali saranno le nuove istituzioni che nasceranno e quali quelle che si evolveranno. Interpretò, con la prima presidenza regionale nel 1970 (dopo che finalmente si istituirono le Regioni secondo il dettato costituzionale) l’esigenza di ristrutturazione dello Stato, l’esigenza di un decentramento amministrativo che già allora era in ritardo rispetto alle necessità che si presentavano. «Quella battaglia era già finita nel 1974, quando mi sono dimesso» dice oggi.
In un’epoca di grandi cambiamenti, come si possono vedere oggi i nuovi assetti all’interno della Regione Lombardia?
Non sono introdotto in questi problemi, li guardo da lontano e non li conosco bene. Ho l’impressione che certamente nella maggioranza che è uscita dalle votazioni lombarde, l’area cosiddetta formigoniana è ridimensionata, si è indebolita. Ma mi sembra frutto anche questo di un processo storico, oltre che di alcune scelte di Formigoni, ovviamente. Credo che Formigoni abbia gestito bene l’ultimo periodo del decentramento, specialmente in alcuni settori, come la sanità.
Che cosa pensa della nuova giunta di Roberto Maroni?
Maroni può essere un buon presidente. Ha tenuto in considerazione attentamente gli equilibri nazionali, ha conseguito quello che voleva. Ora ritengo che potrà disporre di una certa indipendenza rispetto agli schemi del berlusconismo. E’ verosimile che si muoverà con autonomia di giudizio e di manovra. Guardo oggi con un certo interesse alla proposta di macroregione, al di là di quelle che sono state le polemiche in campagna elettorale. Il problema è che dipende come la si realizza e come viene interpretata. Se ben inquadrata può diventare un perno importante in un quadro europeo e potrebbe aprire anche nuove prospettive importanti.
Lei pensa che si arriverà a una riorganizzazione dello Stato nazionale?
Nel periodo in cui stiamo vivendo lo Stato nazionale è agonizzante. Il che non vuole dire che bisogna sbatterlo via o che si dismetta da un momento all’altro. Ma è evidente che la politica oggi si fa su dimensioni diverse. Se c’è una cosa che insegna l’esperienza del governo di Mario Monti è proprio quella che ormai, da Roma, non si può governare.
Tutto questo comporta un’evoluzione istituzionale e politica differente, una rottura dei vecchi schemi
Questo è il punto che dobbiamo affrontare e che si deve pensare, studiare. Oggi bisogna vedere come si riesce a fare politica pensando al proprio territorio in rapporto a poteri che sono al di fuori dello Stato nazionale e anche dell’Europa. Questa è la sfida che ci aspetta. Del resto stiamo già guardando la rottura di tutti i vecchi schemi, siamo in un periodo in profondo cambiamento, di un momento che possiamo definire “rivoluzionario”. All’inizio di questi cambiamenti molto profondi ci sono sempre dei momenti di confusione. Ma poi, nelle brecce che si sono aperte, come è sempre avvenuto nella storia, entrano in scena i protagonisti di un nuovo periodo storico.
(Gianluigi Da Rold)