1. La Sposa contempla lo Sposo che muore
«La Chiesa contempla il suo Sposo che, morendo, si offre vittima al Padre per liberare tutta l’umanità dal peccato e dalla morte» (Orazione all’inizio dei Vesperi). Carissimi, questa Chiesa sposa, straziata e impotente, che assiste alle ultime ore e alla morte dello sposo amato ricomprende anche noi, convocati qui ed ora ad adorare il Crocifisso. Non togliamo lo sguardo dal dramma del Golgota che sfiora la tragedia. Tutto nella celebrazione di oggi ci porta ad un’esperienza di dolore e di perdita che sembra irreparabile. Sul Golgota si consuma il dramma della morte che milioni e milioni di donne e di uomini hanno vissuto prima di noi e vivranno dopo di noi. Il Figlio di Dio assume liberamente su di sé la malvagia ingiustizia della morte che sempre, per finire, è subita come una condanna, tanto più se è quella prematura e violenta delle vittime di tutti i tempi e di tutti i luoghi della terra, ancor più se è la morte di un innocente. «A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio». Ogni luce è spenta, ogni parola tace, il silenzio, immobile, è ritmato solo dai singhiozzi soffocati di Maria e delle altre donne. Poi, l’urlo del Crocifisso lacera l’opprimente mutismo «“Elì, Elì, lemà sabactàni?” Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Vangelo, Mt 27, 45.46). Chiediamoci: è questo forse il grido della speranza mancata? No.
2. Adoriamo l’albero glorioso
Quel palo ignominioso su cui l’Innocente si lascia crocifiggere si trasforma, per la Sua offerta, in un albero glorioso. Il misterioso Servo di cui parla il profeta Isaia che si immola, muto, alla violenza dei suoi aguzzini – figura di Gesù, il Figlio dell’Uomo – non può essere annientato, preda della morte. È forte del legame indissolubile con il Padre della vita. Un legame che in quell’ora estrema lo Spirito assicura: «Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato» (Prima Lettura, Is 50,7). La vita piena sgorga da quella morte. La salvezza degli uomini è generata dal sacrificio di Cristo: questo è l’annuncio inaudito, umanamente incredibile («Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?» Is 53,1), eppure più di ogni altro desiderato e, ora, reso a nostra portata. «Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini» (Seconda Lettura, Is 53,11). La speranza non è speranza mancata, ma speranza affidabile.
3. Passio Christi, passio hominis: la misericordia
«Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe siamo stati guariti» (Seconda Lettura, Is 53,5). La passione di Cristo assume in sé ogni possibile patire umano. Il Venerdì Santo è un mistero abissale di dolore e di amore. Persino la nostra personale morte, che ci può fare molta paura, è già custodita e vinta dalla Sua morte. Soprattutto però è vinto, se lo riconosciamo, il nostro peccato.
4. La vita della comunità cristiana: albore di resurrezione
La liturgia del Venerdì Santo si conclude con la narrazione della deposizione e della sepoltura del Signore. Il Vangelo di Matteo racconta che Giuseppe d’Arimatea si preoccupa della sepoltura e poi se ne va. Restano «sedute di fronte alla tomba: Maria di Magdala e l’altra Maria» (Mt 27,61). Il loro fedele stare di fronte alla tomba diventi il nostro stare di fronte al Crocifisso fino alla Veglia pasquale di domani notte. Il silenzio del Sabato Santo lasci lentamente germogliare in noi la gioia incontenibile della Sua Risurrezione, caparra certa della nostra. Amen.