Attraversa la zona rossa, coperta di macerie e ancora inaccessibile, di un’Emilia ferita al cuore, la sua veste bianca contrasta con la polvere, si ferma e resta a lungo in preghiera silenziosa di fronte alla chiesa dove è morto don Ivan Martini mentre cercava di salvare la statua della Madonna, non semplicemente una immagine ma per lui una presenza amica. “Rendo omaggio a don Ivan e a voi sacerdoti – dice – che come è avvenuto in altre ore difficili della storia di queste terre, mostrate l’amore generoso di Dio”. La gente applaude, si commuove pensando al proprio parroco che ha condiviso fino in fondo il loro destino. “Le case e le chiese sono crollate, ma i vostri cuori non hanno crepe” dice Benedetto XVI a una popolazione alla quale vuole infondere coraggio, e mostrare la vicinanza, concretissima, di tutta la Chiesa, che ha da subito mobilitato le sue istituzioni, i suoi volontari e ha già donato oltre 4 milioni di euro ai terremotati.
La gente ha lasciato le tendopoli, chi ce l’ha ancora si è allontanato dalla casa, per ringraziare e ascoltare il Papa che nonostante gli anni e le fatiche è voluto venire a salutarli, a Rovereto sul Secchia, ma è venuto con discrezione, come è nella sua natura. Un padre attento, che soffre ma non vuole disturbare,
“In questo momento vorrei che tutti, in ogni paese, sentiate come il cuore del Papa è vicino al vostro cuore, per consolarvi, ma soprattutto per incoraggiarvi e sostenervi”, dice. E con il cuore, parla questo anziano Pontefice che avrebbe voluto, racconta, arrivare qui appena saputo del terremoto, poi aveva pensato di venire mentre andava in visita a Milano per l’incontro mondiale delle Famiglie, però non voleva intralciare le operazioni di soccorso e ricostruzione.
Avevo incontrato il Capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, poco prima dell’arrivo del Papa, stava per partire per accoglierlo all’eliporto, ma mi aveva concesso un’intervista. “Perché una visita che dura solo due ore? Non è una decisione nostra, è stato lui a insistere – mi spiega- perché non voleva fare una passerella, ma solo stare vicino alla gente che soffre, senza bloccare il normale svolgimento delle nostre operazioni”. Gabrielli poi viaggerà in macchina con lui, la gente al passaggio dell’auto li applaudirà entrambi, il Papa e il capo degli uomini che li stanno aiutando. “Questa visita è importantissima”, mi dice Gabrielli. “La ricostruzione è difficile, siamo ancora impegnati a mettere in sicurezza tante situazioni, la presenza del Papa serve a dare coraggio alla gente e a tenere accesi i riflettori su questa regione, perché non ci si abitui a quello che succede”.
E anche il fratello di don Ivan mi racconta di quanto sia significativa questa visita. “Mi commuove l’idea che il Papa parli di mio fratello, di come amava la Chiesa e il suo popolo. Ero in chiesa con Ivan quando è morto, ero entrato dietro di lui a fare delle fotografie alla chiesa terremotata anche se mi aveva detto di non entrare perché pericoloso, lui non mi aveva visto e prima che mi scorgesse e mi rimproverasse stavo uscendo, quando sento un rombo, mi giro, e la sua chiesa gli crolla addosso. ‘Ho dato tutto per Dio’, era una frase che ripeteva spesso con gioia. E il suo ricordo, in chiunque l’ha conosciuto, è la gioia che comunicava, di chi amava come un innamorato Dio”.
Storie di una terra di pianura che sarebbero piaciute a Giovannino Guareschi, e salutando Benedetto XVI il cardinale di Bologna Carlo Caffarra cita proprio don Camillo, il prete di sangue caldo e di fede incandescente uscito dalla penna di Guareschi, e i cui film piacciono tanto a Papa Ratzinger. “Questo popolo – dice il cardinale – ha perso quello che ha di più caro, le sue chiese, le case, i municipi. Don Camillio, dopo una piena del Po disastrosa, ha detto alla sua gente che lasciava le case e le cose: le acque sono uscite tumultuose dal fiume, ma un giorno rientreranno nell’alveo. Sarete ricchi, se tornando avrete mantenuto la fede”.
“La paura è normale, spiega il Papa, ma anche quando la terra trema siamo certi che Dio è con noi, siamo piccoli e fragili, ma sicuri nelle Sue mani, come bambini che sanno di poter sempre contare sulla mamma e sul papà, sono vicini e non ci lasciano soli. Siamo affidati al suo amore, che è solido come una roccia”.
La gente ascolta, annuisce, si commuove, sembra che la piccola piazzetta in cui c’è il Papa, il cardinale e il presidente della regione sia in questo momento il nucleo in cui si raggruma la storia di questo dramma, di una terra che era amica e si è improvvisamente inarcata. E l’uomo vestito di bianco, come il parroco Don Camillo, come don Ivan, continua a infondere coraggio e speranza, le sue parole risuonano tra le migliaia di persone arrivate ad ascoltarlo.
“Sulla roccia che è Dio si può costruire, si può ricostruire” dice. “E proprio come nel dopoguerra l’Italia ha ricostruito dalle macerie – continua – adesso l’Emilia sulle macerie può ricostruire: servono gli aiuti, certamente, ma soprattutto serve la vera solidarietà. Rimanete fedeli a voi stessi, alla vostra vocazione di gente fraterna e solidale. Non permettete che venga intaccata la vostra storia e la vostra cultura”.
Storia e culture generate nei secoli dalla fede, che in questa terra è diventata quasi inconsciamente parte della coscienza, e anche i feroci anticlericali avevano il cristianesimo come punto di riferimento. Peppone e don Camillo, ancora una volta. E la continua gara, gli incessanti contrasti tra il sindaco e il parroco, era una gara di solidarietà, per il bene comune. E Benedetto XVI lancia quello che lui stesso definisce un “forte appello” alle istituzioni ma anche a ogni cittadino: “Siate come il buon samaritano, fatevi carico delle necessità dell’altro, nessuno passi indifferente vicino a chi ha bisogno”. E alla gente terremotata dice: “La situazione che vivete, questi giorni di distruzione e dolore, mostrano un aspetto che vorrei vi fosse ben chiaro: non siete soli, non sarete soli! Vedendo la vostra terra ho provato profonda commozione, ma ho visto anche accanto a voi tante mani pronte a curare le ferite. Non siete e non sarete soli, la Chiesa è e vi sarà vicina”, promette Benedetto XVI a una terra ferita al cuore, ma che vuole ostinatamente rinascere.
È venuta l’ora di partire, il Papa torna a Roma. Manca un predellino per farlo salire sul furgoncino, una signora che adesso vive con la famiglia in una roulotte lì accanto prende il suo, e prontamente lo mette sotto i piedi del papa,che le sorride. “Ne cercherò un altro- mi dice appena Benedetto XVI è partito – e questo sarà uno degli oggetti più cari della mia vita, dove ha posto i piedi questo grandissimo uomo, e per il quale mi ha sorriso il vicario di Cristo”.