«La politica economica internazionale dell’Italia – afferma un mio compagno di studi ora ai piani alti dell’Amministrazione Obama e, quindi, costretto a parlare senza che se ne riveli il nome – ha due volti, come Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Da un lato, invia missioni a destra e a manca per “invitare” operatori esteri a investire in Italia. Da un altro, fa di tutto per metterli in fuga». Difficile dargli torto. Nelle settimana scorse, il Presidente del Consiglio è andato di persona in giro per gli Stati Uniti (e non solo) per spiegare i programmi (e i punti precisi) della strategia che va sotto il nome di “Destinazione Italia”. Inoltre, il 13 novembre la portaerei Cavour salpa per una crociera nel Mediterraneo e nella Penisola araba per mostrare il meglio del made in Italy a potenziali investitori; anche le forze armate, quindi, sono state “arruolate” per dare un contributo a una missione quanto mai essenziale.
È utile confrontare la situazione dell’Italia con quella di altri quattro grandi paesi industrializzati (Francia, Germania, Regno Unito e Usa). Come mostra il primo grafico a fondo pagina, in percentuale del Pil, l’Italia presentava a fine 2012 la più bassa posizione netta di investimenti diretti esteri, definita come il saldo tra lo stock di investimenti diretti di imprese italiane all’estero (investimenti diretti outward) e lo stock di investimenti diretti in Italia di imprese estere (investimenti diretti inward). Se si considerano separatamente gli stock di investimenti diretti inward e outward, si scopre poi che la bassa posizione netta dell’Italia non è frutto di una “invasione straniera”: l’Italia fa poco investimento diretto estero e poco ne riceve.
Dalla media dei flussi di investimenti diretti dal 2000, l’Italia è ultima tra i cinque paesi considerati sia per flussi medi di investimenti inward che outward. I dati suggeriscono quindi un problema di scarsa partecipazione dell’Italia ai flussi globali di investimenti diretti piuttosto che un “eccesso” di investimenti diretti esteri in Italia. Non che si sia stati, sinora, con le mani in mano. Si è anche trasformato un’agenzia che avrebbe dovuto contribuire allo sviluppo delle aree in ritardo (“Sviluppo Italia”) in una Spa pubblica per “invitare” le imprese estere a operare nel nostro Paese, ma pare che il suo progetto maggiore riguardi gli scavi di Pompei (su finanziamento dei fondi strutturali).
Ci sono nodi di lungo periodo che frenano il doing business in Italia. Nella classifica di indicatori della Banca mondiale la nostra posizione è “migliorata” tra il 2013 e le stime per il 2014; passiamo, però, dal 67simo al 65simo Paese dei 180 classificati – il fanalino di coda tra gli industrializzati e gli emergenti. Questi dati non rispecchiamo ancora quelli sulla corruzione pubblicati all’inizio di Novembre da Transparency International: su 176 Stati, siamo al 70simo posto, alla pari con il Sudafrica e la Bosnia Herzgovina.
Andando dal macro al micro, uno degli aspetti che più allontana gli investitori esteri dall’Italia è l’incertezza della regolazione. La vicenda Telecom Italia, al centro dell’attenzione in questi giorni, è per molti aspetti emblematica. È una vicenda complessa a ragione del forte indebitamento dell’azienda, delle problematiche relative al futuro della rete, delle intenzioni rispetto alle controllate in America Latina, principalmente in Brasile, delle specifiche dell’offerta da parte della spagnola Telefonica di aumentare la propria partecipazione in Telco. Altri colleghi hanno analizzato su queste pagine gran parte di tali aspetti. Voglio sottolinearne uno solo: l’entusiastica accoglienza avuta in Senato dalla risoluzione che invoca modifiche alla normativa vigente sull’Offerta pubblica d’acquisto (Opa).
Attenzione. Non è questa la sede per esaminare se rispetto al resto dell’Ue, o dell’Ocse, la normativa italiana sull’Opa è troppo o poco favorevole a chi intende assumere il controllo di un’azienda con un investimento strategico ma contenuto. Se le regole italiane sull’Opa sono eccessivamente permissive rispetto al panorama Ue o Ocse è senza dubbio utile cambiarle. Ma al momento opportuno. Che non è certo quello in cui una grande impresa straniera ha fatto una proposta di aumento della propria partecipazione a un’italiana, asserendo di aumentare gli investimenti in conto capitale di quest’ultima. Altrimenti, scivoleremo ancora di più nella classifiche.
E la nostra politica economica internazionale sarà sempre più marcata dal volto del Dr. Jekyll , quali che siano le crociere della Cavour e le missioni “commerciali” di Enrico Letta.