Buono scuola? Ce l’ho. Bonus bebè? Anche. Buono moglie? Mi manca. Non l’ho mai (ancora) ricevuto, ma esiste. Il trend di questo nuovo incentivo viene dalle mogli della Manhattan bene, quella dove i diamanti – anche prima dei ‘quaranta’ – non fanno cafona. Dove l’allevamento di figli perfetti, ammessi in scuole prestigiose e con buoni voti, bravi in ogni sport e strumento musicale è il target di ogni mamma che si rispetti. Ecco: se le mogli (rigorosamente stay-at-home-mums) riescono in tutto ciò, pare, ricevono dai mariti un Wife-Bonus. La scoperta è di Wednesday Martin, una sociologa americana che nel 2004 si è trasferita con al famiglia nell’Upper East Side.
Le reazioni si possono intuire. Davanti a una tale gratificazione economica che risponde agli stessi criteri della «tredicesima» pagata a fine anno ai CEO di un’azienda, le femministe più agguerrite gridano all’umiliazione: come si può ricompensare una moglie alla stregua di un venditore di Chrysler? In effetti, anche a me il sistema d’incentivi puzza più di un barbecue acceso in giardino, per sciccoso che sia. Posto che un regalino in più sotto l’albero non fa schifo a nessuna, questa ricompensa assomiglia molto più a una bustarella di compromesso, che non a un biglietto di Tiffany:
“Cara wife, metto sul piatto un bel set di valigie nuove Luis Vuitton per il tuo weekend ad Aspen con le amiche… In cambio tu gestisci finanze, budget e figli come da rivista di Martha’s Stewart (la regina del bon ton a stelle e strisce); e magari – già che ci siamo – chiudi un occhio su possibili offerte di lavoro, avances di avvenenti trader di Wall Street, e – così per dire – anche sul come/perché/con chi ho trascorso le mie due ultime serratissime trasferte lavorative a Las Vegas…”.
Insomma, come afferma il pragmatico Woody Allen: basta che funzioni.
Attraversiamo l’Atlantico e veniamo a noi. Mi sono chiesta se una sorta di simile incentivo potrebbe funzionare anche qui, qui dove le stay-at-home-mums altro non sono che ordinarie casalinghe…. Diciamo che se domani proponessi a mio marito di elargirmi una gratificaper l’impegno, son sicura mi risponderebbe: “Ma come? Non posso credere che tu non dia già il massimo! Impossibile pensare che tu possa meritarti qualcosa in virtù di un risultato oltre le aspettative: sono certo che il tuo commitment sia già totale!”. Ineccepibile.
Allora, dovrei ripiegare e domandargli – diciamo – un bonus di default. Reazione prevista: “Ma come? Vorresti ridurre il nostro matrimonio a qualcosa di doveristico? Il nostro rapporto va ben oltre! E comunque, sai che puoi usare le risorse che io guadagno quando vuoi. Intendo, una volta tolte tutte le spese inerenti a: tasse-mutui-cibo-scuole-corsi-vestiario-vacanze-multe-bluray3D-assicurazioni-benzina-tecnogadget-condominio…”. Insomma una lista più lunga del ponte di Brooklyn.
Alla fine, ci sarebbe poco da rosicare. Forse perché qui in Italia i mariti son più avveduti? O perché il concetto di compromesso applicato al matrimonio tutto sommato non è cosa nostra?? O magari perché – come mi piace così tanto pensare – il nostro lavoro di dedite-mogli è davvero qualcosa d’impagabile.