Compagnia delle Opere di Milano, in collaborazione con il Centro Culturale di Milano, ha voluto portare nella nostra città la Mostra Ad Usum Fabricae, L’infinito Plasma l’Opera. La costruzione del Duomo di Milano nella convinzione che possa contribuire ad un confronto utile ad affrontare la situazione di grave crisi culturale,sociale ed economica che ha colpito il nostro paese.
La mostra, presentata per la prima volta al Meeting di Rimini del 2012, curata da Mariella Carlotti, Martina Saltamacchia e Marco Barbone, verrà riproposta da venerdì 19 Aprile a lunedì 29 aprile presso Palazzo dei Giureconsulti a Milano, per permettere di conoscere la storia della nostra Cattedrale e delle persone che ne resero possibile la costruzione con il loro lavoro e le loro donazioni.
Un esame approfondito dei registri delle donazioni dimostra infatti come siano stati i semplici cittadini milanesi, ciascuno secondo le proprie possibilità, i principali finanziatori del cantiere del Duomo. Visitando la mostra si potranno conoscere la storia di Caterina di Abbiateguazzone, una signora anziana e poverissima che regalò alla costruzione la sua unica pelliccetta; del mercante Marco Carelli che donò al Duomo tutti i propri averi e di tante altre persone, provenienti da tutta Europa, che contribuirono alla costruzione del Duomo.
Certo non si può dimenticare il contributo di Gian Galezzo Visconti che donò al Duomo il marmo rosa della cave di Candoglia, ma il movimento del popolo che durò 6 secoli rappresenta a nostro avviso il dato più affascinante di questa grande avventura umana e lavorativa rappresentata dalla costruzionedella cattedrale della nostra città.
Colpisce soprattutto pensare a come tante persone di differenti condizioni sociali, pur consapevoli che non avrebbero mai visto l’opera ultimata, abbiano contribuito con le modalità più diverse ad una costruzione che dava senso anche alla loro vita.
La costruzione del Duomo contribuì in modo decisivo alla creazione dell’identità stessa di Milano: per quel cantiere vennero nella nostra città maestranze da tutta Europa rafforzandone la vocazione europea ed internazionale e per il cantiere si misero in moto le migliori intelligenze (Leonardo su tutti) che realizzarono opere di ingegneria civile, come i Navigli, che definirono per secoli la fisionomia di Milano e la aprirono ai mercati internazionali.
La mostra rende evidente come il desiderio di bene e di bello e la intrinseca capacità degli uomini di rimanere affascinati dalla bellezza siano portatrici di sviluppo.
Che cosa dice questa mostra sulla crisi di oggi?
La crisi è il portato di tanti gravi errori.
Si è pensato che si potesse rinunciare all’economia in favore della finanza; si è pensato che i risultati del lavoro dovessero essere misurati nel brevissimo termine senza lasciargli il tempo di esprimersi nel medio periodo; si è lasciato soprattutto spazio ad una idea individualistica di uomo, slegato dalla comunità nella quale vive, attento solo al proprio egoistico interesse.
In questi errori si è anche manifestata la debolezza di una politica che spesso è stata incapace di affrontare le nuove sfide che innovazione tecnologica e globalizzazione hanno reso ineludibili.
Questa mostra ci insegna che esiste una strada per rimettere le persone con il loro desiderio di bene e di bello al centro della società: è questa la cattedrale che siamo chiamati a costruire oggi, un impegno comune che faccia sentire parte di una società, dove ciascuno si senta chiamato a dare il proprio contributo come tessera di un mosaico più grande e magnifico.
Proprio per rilanciare questo impegno comune abbiamo deciso di organizzare il 23 aprile nella Sala di Via Sant’Antonio 5 un dibattito pubblico dove interverranno Bernhard Scholz, Presidente di Compagnia delle Opere, Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria e Lanfranco Senn Presidente di Metropolitana Milanese Spa insieme alle curatrici della mostra.
Attraverso il confronto con questi autorevoli ospiti intendiamo capire come la storia del Duomo possa costituire “un esempio per lo sviluppo della città” vale a dire un richiamo ad una concezione del lavoro che rappresenti non solo una utilità personale ma anche un contributo al bene comune rimettendo così in moto una società civile viva ed attiva, che si assuma una maggiore responsabilità e che chieda di essere più libera.