Dal 30 novembre 2011 al 15 febbraio 2012 il Centro Culturale di Milano ospita la mostra del fotografo islandese Ragnar Axelsson. L’esposizione, dal titolo Immenso e fragile, un racconto dal nord, presenta 40 immagini. Testimonianze di uomini colti nella loro quotidianità, tra i ghiacci e i luoghi del Nord Atlantico. Dalla sua terra, l’Islanda, alla Groenlandia e alle isole Far Oer. Persone continuamente immerse in un’esistenza che sta rapidamente scomparendo. Che, insieme al suo gelo e alla sua natura, si sta ritirando. Incontro ad un’assenza che rende tutti noi più poveri. E mancanti.
Allora le fotografie di Ragnar Axelsson si inseriscono dentro questo ritirarsi della vita. Si pongono prima di ogni linguaggio e parola. Nel grembo di un silenzio che ha ancora tanto da dire e da raccontare. Come svela l’autore delle fotografie a Enrica Viganò, curatrice della mostra: “Il freddo è come un magnete che ti attrae. Impari a conviverci. Impari a scaldarti la tenda, a metterti i vestiti più adatti, impari a sopravvivere. Il mondo glaciale è bellissimo e quando sei nella natura selvaggia di un oceano congelato e di notte guardi le stelle ti senti l’uomo più ricco dell’universo. Scattare le foto è dura, effettivamente, ma quando ci riesci puoi avere dei risultati straordinari. E poi l’unico suono che senti è il silenzio: un silenzio diverso, unico. E quando il vento soffia e il ghiaccio scricchiola ti rendi conto di quanto tu sia piccolo sulla terra e pensi in modo diverso anche alla tua vita”. Come se senza quel silenzio le fotografie non potessero nascere, ed esistere. C’è un attimo di sospensione, di immobilità del tempo, al cui interno Axelsson si immerge interamente, non escludendo nulla di sé. E’ un’intera entrata nell’umano al suo primo istante: un’entrata della fotografia nella ricchezza e nell’immensità del primo sguardo umano alla realtà. Per questo, in un certo senso, le sue fotografie non documentano nulla. Nascono un passo prima: quando, per la prima volta, e ogni giorno, spalanca il suo sguardo alla bellezza dei ghiacci e della natura. Quando l’uomo, sorpreso dalla vastità dell’oceano congelato, non può che fare silenzio. Guardare. E poi vivere. La vita, nei ghiacci del Nord, è data ogni giorno continuamente nuova. Rinnovata dallo stupore del riconoscere il silenzio e il vento che scricchiola come Presenza. “All’inizio non potevo credere all’esposimetro: sembrava impazzito, tutto era così luminoso. Una luce fortissima, ma mi piaceva e ho imparato a gestirla. La luce poi cambia rapidamente, passando dalla luminosità massima del giorno alle luci del crepuscolo o magari ai contrasti esagerati di quando arrivano le nuvole scure. Comunque quando ti svegli in un posto ed esci dalla tua tenda in mezzo al nulla, tra ghiaccio e neve, la luce è tutto, è un incanto”. Una luce ed un incanto che traspaiono, come fondale che emerge, nelle fotografie. Così che l’immagine, ai nostri occhi, arriva a toccare il margine dell’esistenza umana. Il crinale che separa, e unisce, uomo e mistero. In unione nell’immagine. Come una luce fortissima.
Nel suo recente discorso al Parlamento tedesco, il Papa benedetto XVI, in un folgorante passaggio, spiega: “La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo la luce e il clima da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri”. La natura viene così ridotta ad un ghiaccio manipolabile, controllabile, gestibile. Sottomesso all’uomo. Ecco: le fotografie di Ragnar Axelsson è come se si inginocchiassero ai piedi dell’oceano. In attesa che qualcosa si mostri. Che lo sguardo si spalanchi. E la realtà parli, insieme al suo gelo. E’ un mondo che viene prima di ogni edificazione. Un mondo in cui le finestre rimangono sporte sulla ricchezza di una vita prima. In attesa che la luce trafigga le persiane. Per farsi immagine.
Gli uomini che Axelsson ci mostra fanno i conti con l’esistente. Anche quando esso, inevitabilmente, muta: “In Groenlandia mi sono dedicato a documentare la vita dei cacciatori Inuit, una tradizione vecchia di 4000 anni che in questi ultimi tempi sta rapidamente venendo stravolta. Ci sono sempre meno persone che vivono grazie alla caccia, diventa sempre più difficile per loro. Il ghiaccio sempre più sottile rende sempre più complicato raggiungere i bordi della calotta glaciale, dove si possono catturare i narvali. I narvali sono stati per secoli una fonte di nutrizione primaria per gli Inuit, fondamentale anche per l’alto contenuto di vitamina C. Le nuove generazioni stanno affrontando un nuovo stile di vita in cui la caccia non è certo in cima alla lista delle loro attività. Forse il loro futuro sarà più legato al petrolio, all’alluminio o alle miniere. In fin dei conti tutto cambierà, anche i pochi cacciatori che rimarranno non faranno di certo il loro lavoro nella maniera tradizionale”. Un mondo fragile, che sta assistendo ad un inesorabile cambiamento. Lo scioglimento dei ghiacci. Insieme alle persone che, ancora una volta in dialogo con la realtà, obbediscono alla vastità del mondo.
Proprio oggi si apre, a Durban, in Sud Africa, la Conferenza Mondiale sul Clima. Ieri, all’Angelus, il Papa è intervenuto sulla questione: “Auspico che tutti i membri della comunità internazionale concordino una risposta responsabile, credibile e solidale a questo preoccupante e complesso fenomeno, tenendo conto delle esigenze delle popolazioni più povere e delle generazioni future”. Una Conferenza affinché non si perda la vastità di un mondo come quello raccontato da Ragnar Axelsson. Guardare le sue fotografie è un ascolto del silenzio che grida di essere ascoltato. Fino alle nostre città. Tra le edificazioni. Come una luce fortissima che rompe il cemento armato. In una sorta di incanto.
(Luca Manes)