L’esperienza di una fede indomita in Dio e nella patria davanti al male più assurdo garantisce una speranza sicura per un futuro libero dall’odio e dalla vendetta. Pellegrino alle Fosse Ardeatine, Benedetto XVI rilegge una delle pagine più buie della storia dell’occupazione nazista di Roma attraverso due storie luminose che raccontano una libertà possibile anche sotto il più feroce regime. Il Papa parla ai famigliari delle 335 vittime della rappresaglia nazista del 24 marzo 1944, scattata per vendicare i 33 soldati tedeschi uccisi nell’attentato gappista di via Rasella: uomini tra i 14 e i 75 anni, militari e civili, poveri e ricchi, partigiani e innocenti passanti rastrellati per le strade; cristiani ed ebrei.
Benedetto XVI racconta commosso l’ultimo atto di uno di loro, di cui non conosciamo il nome, ma di cui è stato ritrovato, nelle Fosse Ardeatine, l’ultimo scritto, prima dell’esecuzione: “Dio mio grande Padre, noi ti preghiamo perché tu possa proteggere gli ebrei dalle barbare persecuzioni. 1 Pater Noster, 10 Ave Maria, 1 Gloria Patri”. In quel momento così tragico e disumano nel cuore di quella persona c’era l’invocazione più alta, commenta Benedetto XVI: quell’uomo ha fatto l’esperienza di Cristo sulla croce, un’esperienza che per il Papa garantisce a noi oggi la possibilità di un futuro di libertà e fraternità, a Roma all’Italia e all’Europa.
Accanto al Papa tedesco, a camminare e a pregare nei cunicoli di pozzolana dove furono gettati i corpi agonizzanti dei giustiziati, c’è anche il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. “Questo è un luogo di memoria dolorosa e condivisa, perché qui sono morti 76 ebrei, ma la maggioranza delle vittime sono di fede cristiana – dice Di Segni -. Il richiamo del Papa è un richiamo a una casa comune in Europa per superare la storia dolorosa e le divisioni.”
Benedetto XVI si ferma a pregare anche sulla lapide di don Pietro Pappagallo, l’unico sacerdote ucciso nelle Fosse Ardeatine, incarcerato dalle SS per la rete di sostegno in favore degli ebrei e dei perseguitati politici messa in atto nella Roma occupata. In una delle celle di prigionia e tortura di via Tasso, quartiere generale romano delle SS, c’è inciso sul muro un testamento di un prigioniero: “Credo in Dio e nell’Italia, credo nella risurrezione dei martiri e degli eroi, credo nella rinascita ella patria e nella libertà del popolo”. È questa la seconda storia “anonima” che Benedetto XVI sceglie per raccontare la Storia: “In quel testamento inciso in un luogo di violenza e di morte, il legame tra la fede e l’amore della patria appare in tutta la sua purezza, senza alcuna retorica – dice il Papa – Chi ha scritto quelle parole lo ha fatto per intima convinzione, come estrema testimonianza della verità creduta, che rende regale l’animo umano anche nell’estremo abbassamento. Ogni uomo è chiamato a realizzare in questo modo la propria dignità: testimoniando quella verità che riconosce con la propria coscienza”.
Benedetto XVI e il Rabbino capo di Roma invocano, in ebraico e in italiano, la Misericordia di Dio, perché è il solo modo – spiega il Papa – per colmare le voragini di violenza di uomini che rinnegano la propria dignità e fratellanza di Figli di Dio. Benedetto XVI definisce l’eccidio delle Fosse Ardeatine una offesa gravissima a Dio, in quanto violenza deliberata dell’uomo sull’uomo, effetto esecrabile di ogni guerra.
Lasciato il sacrario sulla via Ardeatina e rientrato in Vaticano, Benedetto XVI lancia un appello duro e accorato, perché la Nato cessi di bombardare la Libia e si torni immediatamente alla via del dialogo, attraverso la diplomazia. Con la speranza che un Italia e un’Europa, sempre più lontane da quell’esperienza cristiana dei loro martiri ed eroi, possano reimparare la lezione della Storia.