«I giovani che escono dagli istituti tecnici e dalle università hanno una preparazione che non soddisfa le necessità delle imprese». A dirlo, senza mezze misure è Ettore Batisti, presidente e amministratore delegato di Pama spa, azienda di Rovereto leader nella produzione di grandi macchine utensili. Negli ultimi anni ha assunto più di un centinaio di ragazzi dalle scuole tecniche portandoli a un livello adeguato di preparazione grazie alla scuola interna. Nelle riflessioni di Batisti la formazione dei giovani ha sempre avuto un ruolo centrale. Già nel 2009, quando gli suggerivano di delocalizzare, rispondeva: «Per formare un progettista e un tecnico di “livello Pama” occorrono dai 5 ai 10 anni. Perciò il nostro futuro è qui». In Italia però occorre una svolta: «I giovani devono essere preparati in modo più ampio dalle scuole, con stage, collaborazioni, prove sul campo; necessitano di ripetute esperienze in azienda. Solo così possono essere pronti per l’inserimento in azienda subito dopo la scuola». Come avviene in Germania.
Dottor Batisti, la Pama si è imposta a livello mondiale grazie alla tradizione e all’eccellenza tecnologica dei suoi prodotti. Da oltre ottant’anni sviluppate e costruite alesatrici, frestarici e centri di lavoro e vi siete affermati come leader nel mondo nella lavorazione di grandi macchine utensili. Dove si cela il segreto per mantenersi sempre ai vertici?
Nessun segreto particolare… Pama si è imposta nel mondo per la qualità e l’innovazione tecnologica delle sue macchine. Se dal 1926 siamo sul mercato credo sia merito del nostro lavoro, dell’impegno dei nostri tecnici e ingegneri, delle strategie di internazionalizzazione che ci hanno portato a esportare l’80% della produzione.
In quali paesi?
Principalmente in Cina, India, Russia, Germania e Stati Uniti, dove Pama opera con proprie strutture dirette di vendita e assistenza tecnica. Abbiamo lavorato molto per presidiare i mercati esteri più importanti e quelli emergenti.
E in Italia?
Non abbiamo mai tralasciato l’impegno in Italia dove abbiamo investito sul nostro sviluppo. Siamo un’azienda che tiene molto alla sua “italianità”. Essere radicati nel territorio, nella filiera italiana di settore, nei servizi di subfornitura tecnica, è fondamentale se si vuole attingere dalla profonda conoscenza insita nel manifatturiero italiano, e trarne i benefici.
In un’intervista del 2009 lei dichiarava: «Ci sono state offerte alcune opportunità per delocalizzare ma abbiamo constatato che per formare un progettista e un tecnico di “livello Pama” occorrono dai 5 ai 10 anni. Abbiamo perciò capito che il nostro futuro è qui, a Rovereto, con questo patrimonio professionale». Secondo lei, in che modo dovrebbe mutare il rapporto scuola-impresa per far sì che dagli istituti escano ragazzi con profili più completi, subito pronti per essere inseriti in azienda?
Il tema giovani è uno dei tanti problemi irrisolti dell’economia e della politica in Italia. L’investimento in istruzione e formazione dei giovani è lo strumento fondamentale che, se ben inquadrato in un piano industriale di sviluppo, può costituire la base di crescita di un Paese.
Oggi non è così?
Purtroppo la frattura che ancora esiste tra scuola, università e industria non aiuta l’osmosi di conoscenze e di uomini tra questi mondi. Nonostante si discuta da molti anni di questo tema, i risultati restano lacunosi. I giovani che escono dagli istituti tecnici e dalle università hanno una preparazione che non soddisfa le necessità delle imprese.
Cosa si può fare per colmare queste lacune?
Il mio auspicio è che migliori la collaborazione bilaterale tra mondo del lavoro e della scuola, e che gli sforzi siano indirizzati su obiettivi di eccellenza e di confronto tra le parti. Negli ultimi anni Pama ha assunto più di un centinaio di ragazzi dalle scuole tecniche, che ha portato ad un livello adeguato di preparazione con una scuola interna.
È quella l’unica via o ci sono alternative?
Basterebbe emulare ciò che già fanno altri paesi a noi vicini, come ad esempio la Germania che, con il modello di apprendistato triennale scuola-lavoro e con gli istituti Fraunhofer, assicura una cooperazione continua tra formazione, ricerca e attività produttive, anche nello scambio dirigenti-professori.
I giovani faticano molto a trovare un impiego, le imprese non riescono a trovare profili tecnici adeguati alle mansioni richieste, sembra un paradosso ma purtroppo i dati sono chiari, come si spiega questa contraddizione? Quali sono le figure che più servono al settore delle macchine utensili e al manifatturiero in generale?
Il settore della meccanica e in particolare quello del bene classico di investimento, “la macchina utensile”, è un segmento di attività industriale glorioso, che rappresenta un’importante quota delle esportazioni italiane, ma l’inserimento dei giovani sembra essere difficile. Se tra le “teste bianche” si rileva un adeguato ricambio generazionale, la stessa cosa non accade per i profili tecnici, in questo caso sembra manchi una generazione.
In che senso scusi?
La macchina utensile per essere sempre all’avanguardia dei processi di produzione cui è destinata, necessita di continui investimenti in ricerca e sviluppo e deve dominare numerose tecnologie: meccanica, elettronica, pneumatica, metrologia, informatica, oleodinamica, ecc. Ne risulta quindi la necessità di un aggiornamento continuo in diversi campi. La rapida evoluzione delle tecnologie troverebbe nei giovani l’elemento naturale di flessibilità e creatività per un più facile sviluppo del “nuovo”.
Invece?
I giovani però devono essere preparati in modo più ampio dalle scuole, con stage, collaborazioni, prove sul campo, necessitano di ripetute esperienze in azienda, solo così possono essere pronti per l’inserimento in azienda subito dopo la scuola.