Puntuale come la nebbia di metà novembre, è arrivata una fitta statistica dell’Istat ad aggiornarci sull’andamento dei matrimoni: le nozze sono in calo, le unioni di fatto in aumento. Ma se questo non rappresenta nulla di nuovo sotto il sole, si scopre una sorpresa nel dato sulle separazioni: mediamente, le coppie scoppiano dopo sedici anni. Insomma, sempre stando ad una media, vanno a pezzi intorno ai quarantacinque anni dei partner, quando ti accorgi che – se non non ti son date sette vite come i gatti – puoi comunque ancora graffiare quella che già hai e ritagliartene un’altra metà da quell’unica che ti è stata data.
Perbacco. Realizzo che a me – sposata alla vigilia dell’euro e del nuovo millennio – mancano solo tre mesi per arrivare al giro di boa dei sedici anni di sodalizio con la mia metà. In tutto questo tempo, non mi è mai passato per il cervello di chiuderla qua, ma credo che parecchie persone – se solo mettessero il naso nel nostro tran-tran quotidiano – potrebbero trovare fior di buoni pretesti per suggerirmi di mandare a gambe all’aria il matrimonio. Se lo facessi, ad esempio:
Potrei dire addio a quei pantagruelici pranzi di Natale dalla suocera; che ogni inverno tuttavia mi richiamano al fatto che in cucina si può dare di più di un piatto di caprese a giorni alterni.
Potrei risparmiare sui soldi alla filippina che svapora pile di sue camicie ogni settimana; salvo poi stipendiare qualcuno che mi monti le mensole, cambi le lampadine e bonifichi la mia Punto ogni due mesi.
Potrei smettere di tamponare la fame – in attesa dei sui frequenti ritardi serali – abbuffandomi di tutto quel parmigiano; che so comunque far un gran bene alle ossa.
Potrei trovare qualcuno col quarantuno-e-mezzo di piede cui regalare gli scarponcini da trekking, quelli che uso quando mio marito mi fa scarpinare mio malgrado su per mulattiere di montagna; ad ammirare, a onor del vero, le bellezze del Creato.
Potrei dire addio ai suoi preferiti quanto interminabili ‘action-film-sparatutto’; che tuttavia – sulla penombra del divano – mi regalano il pretesto per un sonnellino ristoratore di mezzasera.
Potrei togliermi dall’impiccio di dover un domani organizzare la sua festa dei cinquant’anni; levandomi l’opportunità di reincontrare amici di vecchia data che non vedo da secoli.
Potrei poi finalmente smetter di preoccuparmi delle sue recidive infrazioni a dieta/sigarette/limite di-velocità; sgarri che ogni volta mi rammentano che ogni persona è tenacemente più grande delle proprie debolezze.
Sì perchè, a guardarci veramente dentro bene, si scopre che un mucchio di fastidiosi sassolini nella scarpa si portano appresso anche una liberante contropartita. Salvo però poi esserci altri aspetti che invece non hanno veramente prezzo: il caldo nel letto a dicembre, l’arte di convincere i figli a fare i compiti nel tempo di preparare un caffè (per non parlare dell’arte di caricare il baule della Punto), il suo chiudere un occhio sul grumoso rattoppo all’estremità del calzino bucato, lo sguardo che lancia quando ti incoraggia a non mollare il tuo ultimo interesse – dal punto croce alla cucina polinesiana.
Sarebbe interessante se certe coppie al capolinea potessero regalarsi altri tre mesi: tre mesi per rendersi conto che quella possibilità di compimento e di bellezza che si è intravisto vent’anni prima negli occhi dell’altro è una promessa di felicità ancora prepotentemente possibile.