«Dopo cinque anni di crisi in cui gli italiani non hanno rinnovato neppure il guardaroba, una crescita sia pur minima dei consumi è fisiologica, anche se la vera sfida è spezzare l’incantesimo recessivo. Da questo punto di vista una riforma dell’intervento pubblico nella nostra economia e della tassazione potrebbero rendere questa ripresa molto più solida». Lo afferma Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università di Milano Bicocca commentando gli ultimi dati Istat di ieri. Nel terzo trimestre 2013 il Pil italiano è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente, interrompendo due anni di cali costanti che durano dall’agosto 2011. Rispetto allo stesso periodo del 2012 il Pil si riduce dell’1,8%, meno però delle previsioni che lo davano al -1,9%. E anche l’Ocse ha migliorato il Superindice Economico dell’Italia, aggiornandolo da 100,9 a 101,1.
Professor Arrigo, ammesso che la recessione sia finita, a partire dal 2014 si ritornerà a crescere a passi grintosi?
No, anche ammesso che si sia usciti dalla recessione non si tornerà a crescere a tassi del 2% l’anno come 15 o 20 anni fa. Eppure perché si riduca la disoccupazione servirebbe una crescita pari almeno all’1,5%. Anche ammesso che la recessione stia finendo o finisca, sicuramente non si tornerà ai tassi di crescita che occorrerebbero al sistema Paese.
Possiamo quantomeno dire che siamo fuori dalla recessione?
Sicuramente la recessione si sta attenuando, ma da qui a prevedere che sia del tutto finita e che gli italiani stiano pianificando consumi e investimenti mi sembra che ci sia una notevole differenza. Presentando il 18esimo Rapporto annuale sull’economia globale e l’Italia, dal titolo “Fili d’erba, fili di ripresa”, Mario Deaglio ha affermato che negli ultimi anni gli italiani hanno talmente compresso una serie di consumi durevoli che si ritrovano senza guardaroba. Per forza dovranno ricominciare a fare acquisti quantomeno in misura minima, e questo porterà nel 2014 a una ripresa di discrete proporzioni.
Lei condivide l’analisi di Deaglio?
Sì. Gli italiani hanno a tal punto contratto le loro scelte di consumo che si ritrovano con necessità abbastanza urgenti di tornare a comprare. E quale stagione può essere migliore per fare un po’ di scorte se non l’inverno, magari in occasione dei saldi? Le stesse imprese negli ultimi anni hanno razionalizzato gli investimenti, e quindi è legittimo aspettarsi un aumento pur modesto della domanda. Bisognerà però vedere se la produzione che per ora è in magazzino uscirà dai negozi per andare nelle case degli italiani.
Una volta rinnovato il “guardaroba”, i consumi degli italiani continueranno a crescere?
Le aspettative degli italiani in particolare e degli europei in generale sono molto cambiate e la loro propensione a spendere si è modificata radicalmente. Addirittura è cambiata la disponibilità ad acquistare due tipi di beni che un tempo rappresentavano lo zoccolo duro nella spesa degli italiani: la casa e l’automobile. Non credo che le vendite nel settore automotive ritorneranno mai ai livelli di alcuni anni fa rispetto a cui si sono quasi dimezzate.
Su quali dati si basa questa sua previsione?
Pur con un intervallo nel 2010, la recessione è durata complessivamente cinque anni. Lo stesso 2010 è stato caratterizzato da una crescita dello 0,4% dovuta più che altro al trascinamento dell’anno precedente. Dopo un 2008 di recessione, un 2009 di crollo verticale e un 2010 di modesta ripresa, abbiamo avuto un 2011 di nuovo arresto e un 2012 e 2013 ancora in calo. Dopo un periodo così lungo il modo di ragionare delle persone cambia radicalmente. E’ per questo che bisognerebbe spezzare questo incantesimo recessivo.
In che modo?
Una riforma dell’intervento pubblico nella nostra economia e della tassazione potrebbero rendere questa ripresa molto più solida. Nello scenario che ho delineato manca cioè la componente politica che può giocare un ruolo importante, spezzando l’aspettativa che le tasse continueranno ad aumentare. La spada di Damocle per la domanda interna è rappresentata dal timore che le tasse aumenteranno. Se si riesce a fare capire che le aliquote non aumenteranno più, questi timidi segnali di ripresa potrebbero consolidarsi.
(Pietro Vernizzi)