Una misura della velocità della luce con l’ausilio di un oscilloscopio e di pochi materiali a basso costo, per un’attività didattica alla fine dei cinque anni di Istituto Tecnico, che coniuga la dimensione storica e la dimensione sperimentale costitutive della scienza fisica. Un percorso che non raggiunge solo l’obiettivo di approfondire la conoscenza di una teoria fisica, ma che permette al giovane un’esperienza di progettualità e creatività realmente efficaci. Con il coinvolgimento di adulti, il docente di elettrotecnica e il genitore, essi stessi impegnati in una «sfida affascinante».
La luce ha sempre affascinato la curiosità dell’uomo fin dalle epoche più remote. È trascorso più di un secolo da quando Einstein pubblicò il suo celebre articolo sull’elettrodinamica dei corpi in movimento, in cui dimostrava che la velocità della luce era il limite massimo di velocità per qualsiasi oggetto fisico.
Oggigiorno, l’idea di poter effettuare una stima sperimentale di questa velocità con materiali e strumentazioni facilmente reperibili nel laboratorio di una scuola – o di un hobbista – suscita sempre un primo iniziale sconcerto.
L’attività didattica proposta allo studente Federico Furlanetto, più che il raggiungimento di una misura più o meno accurata della velocità della luce, ha centrato l’obiettivo di coinvolgere il giovane in una sfida affascinante concretizzatasi in una significativa esperienza educativa capace di far emergere e consolidare nel giovane la passione per la realtà.
Storia della velocità della luce
Già nell’epoca antica l’uomo si era posto il problema della natura della luce e della sua velocità. Quasi tutti i pensatori greci e latini avevano abbozzato ipotesi in grado di avere più o meno ragione degli interrogativi posti da questo fenomeno che appariva così pervasivo e profondamente intrecciato con la percezione del mondo reale.
Per i filosofi ellenici e latini il problema della luce, fin da subito, fu strettamente legato alla cosmologia. Nel suo trattato cosmologico, il Timeo, Platone (427-347 a.C.) afferma che il fuoco della nostra anima si effonde all’esterno e trasmette a noi una sensazione solo se incontra un altro fuoco. Più tardi, nella filosofia neoplatonica la luce verrà considerata come una manifestazione propria del divino, attraverso cui l’Uno si comunica per emanazione alle intelligenze celesti e quindi al mondo sensibile.
Aristotele (384-322 a.C.) attribuisce alla luce la caratteristica di essere l’etere, il quinto elemento composto di materia fluida e sottile in cui sono immersi gli enti composti da acqua, aria, terra e fuoco, i quattro elementi primordiali.
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Maurilio Bortolussi
(Docente di Elettrotecnica presso ITIS “J.F. Kennedy” di Pordenone)
L’esperienza didattica oggetto di questo articolo è nata dalla proposta fatta da Daniele Altan, docente di matematica e fisica presso il Liceo Scientifico “Le filandiere” di San Vito al Tagliamento (PN), a Federico Furlanetto, allievo dello stesso istituto, in occasione della preparazione all’Esame di Stato.
© Pubblicato sul n° 28 di Emmeciquadro