Il 2014 sarà un anno decisivo per risolvere o per approfondire la depressione mondiale che – come ho affermato diverse volte – non è simile a nessuna delle due grandi crisi prima avvenute (1907 e 1929). Essa è ora a frattali, ossia interessa tutte le economie mondiali, ma con frane, recuperi, di nuovo crolli e di nuovo ricostruzioni, assai diverse da quelle del passato. A macchia di leopardo e con un intreccio profondo tra finanza malata e industria sana. E questo perché l’industria mondiale si è certo globalizzata, ma soprattutto si è inspessita, ossia è formata da stratificazioni tecnologiche molto diverse tra loro e pure perché l’una con l’altra si sostengono e si incrociano in una gigantesca tabella a doppia entrata à la Leontief, facendo della produzione la quintessenza del problema e dall’altro lato della domanda effettiva il controcanto essenziale per riprodurre su scala mondiale il capitale.
Le vecchie specializzazioni non reggono più, perché a livello internazionale non assistiamo più a scambi ineguali tra nazioni, ma invece tra settori, con due formidabili ostacoli alla crescita: il declino demografico e il restringimento della domanda. Fattori, questi, che si aggregano ancora a livello nazionale e che ci costringono quindi a elaborare le nostre statistiche su base nazionale, anche se oggi ciò è gravemente insufficiente.
La moneta è tornata a essere ciò che i neoclassici avevano dimenticato: è tornata a essere lo stimolo possibile per la domanda effettiva, con l’abbassamento dei tassi di interesse. Ma lo stimolo alla domanda è tale se a esso si unisce la diminuzione del gravame fiscale e si ampliano le possibilità di investimento. Le teorie neokeynesiane sbarrate sulla via dell’accademia e del potere per consentire ai servi della tecnocrazia neocapitalistica di accumulare enormi ricchezze da stock options vincono nella realtà, anche se i laureati fanno finta di non vedere. Eppure si trema per l’annuncio della Fed di restringere i cordoni della borsa.
Sarebbe un errore tuttavia. Perché se i problemi interni degli Usa stanno risolvendosi, la liquidità internazionale, invece – proprio perché è ancora intermediata dai servi prima richiamati che addensano tale liquidità verso le banche (non ancora ritornate al Glass-Steagal Act!) e gli intermediari, anziché verso le famiglie e le imprese -, è ancora necessaria. È il gravame che gli Usa portano con sé per dominare ancora inevitabilmente il mondo.
Il futuro delle nostre economie sarà sempre più divergente. La ripresa negli Usa esiste già e le famiglie nordamericane riprenderanno a consumare con sollievo dei paesi emergenti e di tutti quelli in cui esistono ora i problemi non più del sottosviluppo ma invece della crescita (i Brics), mentre la Cina – da Paese “comunista” qual è e quindi con monopolismo di Stato e banche locali a corto di liquidità nonostante l’enorme liquidità statale e per la corruzione – si avvia a una lenta disgregazione.
L’India farà la sua parte. L’Europa segnerà il suo punto più alto di divergenza, con occupazione al 5% circa della Germania e il 26% di Spagna e Portogallo, con la Francia al 10%. Il Regno Unito farà anch’esso la sua parte nella crescita, perché è ormai beneficamente sempre più lontano dall’Europa. Il divario nel surplus commerciale condurrà l’Europa verso un’inevitabile stagnazione e una lenta disgregazione politica. L’Italia (12% di disoccupazione) dovrà trovare una nuova via massimizzando le sue ultime risorse da grande imprese e ottimizzando il patrimonio delle sue piccolissime, piccole e medie imprese.
Occorre ripensare globalmente la collocazione tra pubblico e privato delle rappresentanze intermedie della società, con un’indispensabile rifondazione istituzionale dello Stato. Il lavoro e l’occupazione devono tornare al centro dell’elaborazione teorica partendo dai diritti di proprietà e delle politiche che oggi non esistono: quelle industriali. Se così non si farà la disoccupazione raggiungerà i livelli iberici e il ritorno alla crescita non sarà più possibile.
La domanda effettiva che si perde non ritorna più! Ricordiamolo! La decadenza, simile a quella che ci colpì nel 1600 e nel 1700, giungerà irresistibilmente. In Europa – se così si sta ancora e non si cambia – si muore. Se l’Europa cambia e si sconfigge la deflazione tedesca, forse ci si salva. Ma i dati internazionali ci fanno dire che forse è già troppo tardi.