Immagina una sera un aperitivo prima del teatro o un happy hour in perfetto stile metropolitano milanese. Bella gente, un bar elegante dalle linee essenziali e dal servizio raffinato. Trendy quanto basta per incontrarci gente nota: un famoso giallista, l’architetto di grido, un avvocato o forse un commercialista, modelle e aspiranti tali, ma che indossino anche –per carità- quel tantino di cervello che oggi va portato con disinvoltura ed eleganza. È lo Smooth Bar di via Buonarroti, appena fuori la stazione Wagner del Metro.
Ti aspetteresti alle pareti qualche soluzione da graphic designer in tono con la sobrietà dell’ambiente. E invece ti accolgono dei quadri veri. Lo capisci subito che non è semplice decorazione, basta che posi lo sguardo su quella parete di destra, dove dietro alle stoviglie minimaliste del bar ti appaiono le stoviglie “vere” delle opere di Julián Jaramillo Torres, giovane artista colombiano d’origine, ma milanese a tutti gli effetti ormai da diversi anni. Strano posto per una mostra. Eppure l’arte si offre alla carità dello sguardo dei suoi osservatori senza porsi problemi.
Riquadri dai toni verdi-grigi che mostrano frammenti di realtà quotidiana, apparentemente senza filtro. L’artista sembra non aver privilegiato un punto di vista particolare, se non quello della accidentalità dell’apparire delle cose nel suo campo visivo. E ci ripropone la stessa esperienza di osservazione nel quadro. Frammenti di realtà che non è scelta, ma che Julián Jaramillo guarda così come gli appare. Non la sceglie, non la critica, non la seleziona: semplicemente la guarda perché c’è. È uno sguardo coraggioso, che va dentro quel che vede senza paura di svelarne i lati più dimessi.
Il risultato è potente. Pentole, bottiglie, piatti, bustine di tè usate diventano protagonisti eroici della scena, come in certe nature morte del Seicento dove ogni particolare svelava un significato recondito. Ma qui non ci sono misteri. Il senso può essere evidente a tutti, ma occorre ripercorrere lo sguardo dell’artista per scoprire una verità semplice e complessa allo stesso tempo: la realtà è bella tutta, ma prima di interpretarla bisogna amarla.
La tecnica che Julián Jaramillo ha inventato lo costringe a un esercizio paziente di osservazione. Se guardi da vicino le opere ti accorgi che il groviglio di segni non è un disegno o un’incisione, come poteva sembrare a un primo sguardo, ma il risultato di graffiature sovrapposte che levano il colore verde del foglio facendo emergere la grana bianca della struttura di base. Si tratta di una modalità davvero originale che ci riporta dentro alla vita di una Milano sempre in movimento per la particolarità del supporto utilizzato da Julián: i fogli di carta verde che vengono sovrapposti alle pubblicità scadute sui pannelli delle linee metropolitane. Curioso anche lo strumento “grafico”, che non è la matita o la penna, bensì la carta vetrata di diverse grane e altri materiali affini, che viene passata sulla carta inumidita o a secco. Così lavorate le carte rivelano il loro vissuto nelle mani dell’artista. Che le ha trattate come se fossero lastre da incisione, disegnate a bulino o a puntasecca. Ma mentre nell’incisione la matrice soffre tutta la materialità del segno che l’artista le impone, mentre ciò che vediamo è la stampa impressa sul foglio (sempre speculare al disegno della lastra), qui la matrice e l’opera coincidono.
Una mostra da vedere, quindi, quest’esposizione insolita intitolata “Nudi piatti”. Ma occorre affrettarsi perché è possibile farlo solo fino a domenica 18. L’ambientazione informale favorisce l’approccio, portando l’arte alla dimensione quotidiana del caffè. Una mostra che probabilmente sarebbe piaciuta a Giovanni Testori, il quale sosteneva che “Basta amare la realtà, sempre, in tutti i modi […]. Ma amarla. Per il resto, non ci sono precetti”.