Era prevista già da mesi, la visita a Milano del Patriarca Bartolomeo I. Come ha detto il Cardinale Scola nell’indirizzo di saluto, “l’incontro era in programma per marzo, ma la rinuncia di Papa Benedetto e l’elezione di Papa Francesco hanno richiesto di aggiornarne la data”. E in questi due mesi sono capitati molti eventi che arricchiscono di significato la visita. Innanzitutto l’elezione di Papa Francesco, un uomo nella cui formazione ebbe un posto importante, grazie alla figura di un sacerdote greco-cattolico, la spiritualità orientale, e che da Arcivescovo di Buenos Aires era anche responsabile per i cattolici di rito orientale.
Fin dall’inizio del suo pontificato, poi, Papa Bergoglio ha voluto ricordare il suo ruolo di vescovo di Roma, la “chiesa che presiede alla carità”, secondo l’espressione di S. Ignazio di Antiochia che costituisce uno dei fondamenti su cui si poggia l’autocomprensione del primato petrino e che viene accolta e condivisa anche dalle Chiese Orientali. Non è un caso che proprio questa espressione sia stata ripresa da Bartolomeo nel suo saluto a Francesco il giorno dell’inizio del suo ministero, come non è affatto un caso – né una semplice cortesia diplomatica – che il Patriarca di Costantinopoli salutasse l’elezione del nuovo papa come “ispirata da Dio”, ricordando come “assai grave e urgente il dovere e l’obbligo da parte di tutti noi di ricordare a noi stessi, gli uni agli altri e a tutti, che Dio è disceso dal cielo sulla terra, si è fatto uomo in Gesù Cristo, affinché vivessimo come “cittadini la cui patria è nei cieli” (Fil 3,20), aggiungendo poi: “Sì, veramente, ‘il Signore è Dio e si è manifestato a noi’ (Sal 117,27)”.
Al termine di quel discorso, Papa Francesco rispose ringraziando “di cuore… il mio fratello Andrea” (l’Apostolo di cui il Patriarca di Costantinopoli è successore, così come il Papa lo è di Pietro), e ricordando che l’essenziale per ogni cristiano è “il rapporto personale e trasformante con Gesù Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto per la nostra salvezza”, riprendendo in questo modo una espressione di Bartolomeo che aveva parlato della “incorporazione a Cristo” come senso della nostra vita su questa terra.
Una simile consonanza non è frutto di costruzioni diplomatiche, ma accade nel riconoscimento che l’unità tra Roma e Costantinopoli è già indicata e – possiamo dirlo – ci precede e ci supera in quel nome, “fratello”, che esprime la verità del rapporto tra Pietro e Andrea, tra il “corifeo degli Apostoli” e il “primo ad essere chiamato da Cristo”; una unità che si rende a noi nuovamente visibile e tangibile – seppur nella consapevolezza di un cammino ancora da compiere – nella novità della presenza orante e fraterna, mai avvenuta fino ad ora nella storia, di un Patriarca Ecumenico all’inizio del ministero di un Romano Pontefice.
La visita a Milano, a una Chiesa veneranda per tradizione e che ha come suo Patrono un santo – Ambrogio – amato e venerato in Oriente, avviene dunque dopo che a tutti si è palesato in modo del tutto evidente, negli eventi or ora richiamati, come sia Cristo stesso, mediante il suo Spirito, l’autore del cammino ecumenico. E avviene a coronamento di un cammino nel quale più volte il Card. Scola ha ricordato che la vera chiave di lettura dell’Editto di Milano sta nel fatto che Costantino e Licinio riconobbero come l’agire di Dio nella storia sia una realtà che precede qualunque forma statuale, e che il potere non può pretendere di normare il senso religioso dell’uomo, ma solo deve accettarlo e renderlo praticabile come una vera risorsa per tutta la compagine sociale.
La presenza di Bartolomeo, in questo senso, è la testimonianza stessa di una Chiesa che ha molto sofferto e ancora lotta per la propria libertà, ma che in questa secolare fatica ha saputo sviluppare una comprensione di Dio che mette al primo posto il valore del “tu”. Scriveva infatti il Patriarca Bartolomeo nel 1997, in un libro-intervista con il grande teologo Olivier Clément: “La Trinità è allo stesso tempo sorgente di ogni unità e di ogni distinzione. La nostra comprensione dell’umanità, così come della Chiesa, derivano dal mistero della Trinità. In Cristo noi siamo tutti un solo corpo, tutti membra l’uno dell’altro. E Cristo sostiene e accoglie ciascuno come un unico “tu”. Lo Spirito garantisce la nostra comunione ma, nello stesso tempo, le fiamme di Pentecoste separano e una lingua di fuoco discende su ciascuna persona, come per consacrare il suo unico carattere e per dispiegare l’infinita portata della sua libertà liberata. Per essere me stesso, ho bisogno di te. Se non ci guardiamo gli uni gli altri negli occhi, non siamo veramente umani”.
Guardarsi negli occhi, riconoscersi come un “tu” di cui abbiamo reciprocamente bisogno. Nella certezza che Cristo agisce e costruisce anche la nostra unità visibile, rendendoci capaci di testimoniare una libertà vera perché da Lui liberata. Ecco il senso di questa visita. Da guardare come uno spettacolo, come un avvenimento che ci viene donato per darci speranza e che ha il sapore di un futuro antico, perché fondato su quell’unità per cui Cristo ha già pregato.