«Proprio perché amo l’Italia mi auguro che l’Unione Europea apra una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese. In questo modo il governo sarà costretto ad accelerare sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione e a ridurre la spesa». Lo afferma Oscar Giannino, giornalista economico, commentando la notizia relativa al fatto che il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, ha annunciato l’avvio dell’iter per la procedura di infrazione contro l’Italia per la violazione della direttiva comunitaria sui ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione alle imprese. Eppure nei mesi scorsi il governo Letta aveva annunciato lo sblocco del pagamento dei debitii della Pa.
Giannino, perché lo Stato italiano non è riuscito a pagare i suoi debiti con le imprese?
L’ultimo rendiconto del Tesoro parla di un ammontare messo in pagamento di 20 miliardi. I pagamenti effettivamente registrati sono pari a 18 miliardi e la somma messa a disposizione è di 22 miliardi. Alla nascita del governo Letta la messa in pagamento del debito commerciale dovuto dallo Stato alle imprese era considerata una vera priorità per fare ripartire il Paese. Fatto sta che la ricognizione del totale del debito pendente non è mai arrivata, e quindi abbiamo soltanto delle stime: quelle più basse che parlano di 80 miliardi e quelle più ampie di 120 miliardi.
Lei ritiene che la procedura d’infrazione possa essere fondata?
La procedura d’infrazione ha un fondamento perché l’Italia è rimasta indietro sulla procedura di ricognizione generale, e nonostante il fatto che lo stesso governo ha dichiarato di voler accelerare molto il pagamento, nei fatti ha proceduto con grande cautela. In assenza di misure compensative sul taglio della spesa, pur di rispettare la soglia del deficit del 3% lo Stato è andato col piede leggero sul pagamento dei debiti.
Insomma, non sono stati rispettati gli impegni?
Gli impegni assunti dall’Italia nei confronti delle imprese e in sede Ue erano al contrario di accelerare molto sul pagamento. Poiché amo l’Italia, mi auguro che la procedura d’infrazione ci sia davvero in quanto rappresenterebbe un ulteriore incentivo affinché nel 2014 il governo capisca che per mettere i debiti in pagamento bisogna essere pronti anche a misure sulla spesa corrente.
Non è un paradosso prevedere una doppia procedura d’infrazione, una per lo sforamento del tetto del 3% e una per il mancato pagamento dei debiti?
Non si può giustificare il rispetto del vincolo del saldo di bilancio in nome del fatto che lo Stato, il quale pretende una precisione assoluta nel versamento dei contributi, si dimentichi di avere un comportamento simmetrico nei confronti dei suoi debiti commerciali. Di fronte a un governo di banditi che incassa solo e non paga, ma rispetta il limite del 3%, sarebbe assurdo pensare che l’Europa si limitasse a porgere i suoi complimenti. Un problema di questa entità per quanto riguarda i pagamenti c’è del resto soltanto nel nostro Paese.
Come è possibile rimettersi in regola?
Il punto è che non basta continuare a dire che ci penserà Cottarelli. In un Paese come il nostro, per il debito che abbiamo e per l’insuccesso pluriennale nel contenimento reale della spesa corrente, dobbiamo considerare questi ultimi interventi come il primo e il più impegnativo capitolo delle responsabilità politiche. Invece la politica continua a sviare e pretende che siano gli scudi tecnici, come quello di Cottarelli, a dover individuare le scelte d’intervento. Occorre un cambio di passo sulla spesa pubblica e sulle tasse, e non è possibile che la risposta venga da Cottarelli. Il commissario ha promesso tagli di spesa corrente da 32 miliardi, cioè da due punti di Pil, in tre anni, ma francamente ritengo che per credergli occorra fare un grande sforzo d’immaginazione.
(Pietro Vernizzi)