La genetica è uno dei grandi temi previsti nelle Indicazioni Nazionali di Scienze in tutti i livelli di scuola. Ma sono rari gli strumenti per una didattica che sviluppi gli argomenti tenendo presente la dimensione storica e metta al lavoro la ragione.
Perciò, in questa seconda parte del suo contributo, l’autore considera il cammino sperimentale compiuto dai biologi nei primi anni del XX secolo, in particolare dopo la scoperta che durante la formazione dei gameti si dimezza il numero dei cromosomi e dopo la «riscoperta» dei lavori di Mendel.
I meccanismi della meiosi spiegano i risultati di Mendel e viene formulata la «teoria cromosomica dell’ereditarietà» che aprirà il passo alla sorprendente dimostrazione sperimentale della corrispondenza tra cromosomi e geni.
Nella prima parte di questa «introduzione alla genetica», pubblicata sul n° 58 – Settembre 2015 della rivista, abbiamo esaminato il lavoro sperimentale compiuto da Gregor Mendel tra il 1854 e il 1864 documentandone la portata rivoluzionaria. In questa seconda parte vedremo come i ricercatori dei primi anni del Novecento hanno stabilito, anche con importanti ricerche sperimentali, i fondamenti della scienza genetica «proseguendo» in un certo senso, il lavoro di Mendel. Infatti Mendel non aveva solo osservato o classificato, ma aveva preso in considerazione la variabilità nella sua totalità costituendo, anche dal punto di vista concettuale, un punto di partenza per ogni successiva indagine in genetica.1
La nascita della scienza genetica, all’inizio del XX secolo, è strettamente connessa agli studi citologici che avevano chiarito i meccanismi con cui avviene la fecondazione e la formazione dei gameti. Tuttavia, è ancora aperta la domanda sulla funzione dei cromosomi nella cellula. Nei primi dieci anni vengono dimostrati la validità e i limiti delle ipotesi mendeliane e si stabilisce definitivamente che l’eredità dei caratteri dipende da particelle discrete.
In questa fase «cellulare» di sviluppo della genetica si compie il salto concettuale che porta a formulare la «teoria cromosomica dell’ereditarietà»: si riesce a stabilire la corrispondenza tra i dati di tipo genetico (raccolti studiando i risultati degli incroci) e le conoscenze di carattere citologico via via acquisite. Ma c’è di più: si sono poste le basi per studiare sperimentalmente la natura del gene e la disposizione dei geni sul cromosoma, un’avventura sorprendente che, come vedremo nel prossimo contributo, si articolerà attorno alle ricerche di Thomas Morgan e del Drosophila group.
Trasmissione dei caratteri e studi citologici dell’Ottocento
Nella seconda parte del XIX secolo erano state formulate diverse teorie generali dell’eredità e dello sviluppo: quella di Herbert Spencer (1820-1903) del 1864; quella darwiniana della pangenesi (1886); le congetture (teoriche) formulate nel 1884 dal botanico svizzero Karl Wilhelm von Nägeli (1817-1891); la teoria dell’eredità biologica di August Weismann del 1885. Nessuna di queste teorie forniva risposte adeguate e, come afferma Ernst Mayr, «è una grande ironia nella storia della scienza che la risposta al problema dell’eredità fosse già stata trovata mentre tanti illustri ricercatori la inseguivano con grande ostinazione negli anni settanta, ottanta e novanta dell’Ottocento.».2
Per tutto il XIX secolo la domanda degli scienziati sulla trasmissione dei caratteri ereditari si era intrecciata strettamente con la domanda sul modo in cui avviene la riproduzione sessuata attraverso la fecondazione. Una lunga storia di esperimenti e osservazioni che porta a chiarire l’importanza fondamentale dei cromosomi e che viene riassunta dallo scienziato americano Edmund Beecher Wilson (1856-1939) in The Cell in development and Inheritance, pubblicato nel 1896.
Il tedesco Oskar Hertwig, uno fra i principali rappresentanti della biologia moderna, già nel 1875 aveva dimostrato che, nell’uovo fecondato del riccio di mare, due nuclei (uno derivato dallo spermatozoo e l’altro dall’ovulo) si uniscono e danno origine alle cellule per mitosi successive.
[A destra: Oskar Hertwig (1849-1922)]
Nel 1883, il belga Edouard Van Beneden, considerato uno dei fondatori della citologia, aveva osservato che le cellule del nematode Ascaris bivalens hanno 4 cromosomi, mentre i gameti ne hanno solo 2.
In sostanza, aveva dimostrato che la fecondazione consiste nell’unione di due cellule che contengono un numero di cromosomi dimezzato e che questa unione produce una cellula in cui sono presenti i 2 cromosomi materni e i 2 paterni.
[A sinistra: Edouard J.L. Van Beneden (1846-1910) in una immagine del 1910]
Nel 1884, il biologo tedesco August Weismann conclude che le cellule riproduttive, i «gameti», contengono un numero di cromosomi dimezzato (n, aploide) rispetto alle altre cellule (2n, diploide) e che si formano in seguito a una divisione particolare che chiama «meiosi» (dal greco meion che significa ridurre), per distinguerla dalla mitosi.
[A destra: August Weismann (1834-1914)]
Afferma anche che «l’eredità è determinata dalla trasmissione, da una generazione all’altra, di una sostanza di ben definita costituzione chimica».
È ormai chiaro che la riproduzione sessuale degli organismi è basata sulla fusione dei nuclei di due cellule (uovo e spermatozoo) e che ogni organismo mantiene il numero di cromosomi tipico della specie grazie alla meiosi, che dimezza il numero di cromosomi nelle cellule germinali (gameti). Inoltre, questa riduzione del numero dei cromosomi non avviene a caso, ma ogni cellula figlia riceve un cromosoma per ogni coppia di cromosomi presenti nel genitore diploide.
Nasce così anche la distinzione, all’interno di un organismo, tra cellule somatiche, che si dividono per mitosi e sono destinate a morire col corpo, e cellule germinali che si dividono per mitosi e per meiosi e che danno origine a generazioni successive di organismi.
La riscoperta delle leggi di Mendel
Nel quadro appena delineato risulta decisiva, nel 1900, la riscoperta e la conferma dei risultati di Mendel da parte di Carl Correns, Hugo de Vries ed Erich von Tschermak: avevano condotto indipendentemente esperimenti su differenti piante e su molti animali ottenendo dati praticamente identici a quelli ottenuti sui piselli 35 anni prima. Nell’arco di pochi mesi pubblicano i risultati delle loro ricerche riconoscendo a Mendel (grazie anche alla precisione con cui egli aveva descritto il suo lavoro) la «paternità» delle scoperte e rilanciando nel mondo scientifico, con basi nuove, il tema dell’ereditarietà.
Correns e de Vries «ridefiniscono» i risultati di Mendel consegnando al mondo scientifico le leggi della segregazione e dell’assortimento indipendente. Von Tschermak è giovane e non ancora affermato nella comunità scientifica, ma gli viene accordata la sua parte di notorietà come uno degli scopritori delle leggi di Mendel.
Correns, tedesco, era docente all’università di Tubinga quando, nel 1892, iniziò i suoi esperimenti sui tratti ereditari nelle piante, senza conoscere i lavori di Mendel sui piselli. Tuttavia, nel 1900, quando pubblica i suoi risultati, intitola il suo lavoro G. Mendel’s Law Concerning the Behavior of the Progeny of Racial Hybrids: evidentemente aveva letto la memoria presentata a Brno (conosceva Carl Nägeli, il botanico a cui Mendel scrisse dei suoi esperimenti sulle piante di pisello) e aveva avuto l’onestà di attribuire a Mendel il merito che gli spettava. Negli anni seguenti Correns conduce studi sulla Mirabilis jalapa, in cui si ha dominanza incompleta, verificando la validità e i limiti delle ipotesi di Mendel.3
Anche Hugo de Vries, olandese, docente di botanica all’università di Amsterdam, a partire dal 1890 aveva eseguito molti esperimenti di ibridazione, lavorando soprattutto su Oenothera lamarckiana, senza conoscere i lavori di Mendel. De Vries pubblica il suo saggio prima in Francia e poi in Germania; il riferimento a Mendel è solo nella pubblicazione tedesca.
Erich von Tschermak-Seysenegg (1871-1962), austriaco di Vienna, era nipote del botanico Eduard Fenzl, che per un certo periodo insegnò a Gregor Mendel. Dopo la laurea in agraria, durante il dottorato, nel 1898 inizia a condurre esperimenti sull’incrocio delle piante utilizzando piselli, e nel 1900 pubblica i suoi risultati. Autonomamente, come de Vries e Correns, trae dai suoi esperimenti sulle piante le «leggi mendeliane» sull’ereditarietà.
Le ipotesi mendeliane e l’evoluzione (1900-1910)
Nel 1900, quando vengono riscoperte le leggi di Mendel, si apre un’accesa disputa sul loro significato per la teoria darwiniana dell’evoluzione.
Secondo Mendel i fattori ereditari sono indivisibili e vengono trasmessi senza perdere la loro identità. Questa ipotesi contraddiceva da un lato la teoria «epigenetica» di Lamarck, alla quale anche Darwin si rifaceva e, dall’altro, la concezione darwiniana della blending inheritance, la mescolanza dei caratteri ereditari.
D’altra parte, la scoperta di Mendel poneva le basi per capire che un gene nuovo e vantaggioso si conserva e può essere trasmesso attraverso l’incrocio tra molti individui di una popolazione fino a quando si impone grazie al suo vantaggio per la selezione naturale. Inoltre, la possibilità di prevedere gli esiti degli incroci poneva le basi scientifiche per la coltivazione controllata di piante alimentari e per l’allevamento di animali domestici.
I fondatori della scienza genetica
Nella prima metà del XX secolo emergono, come «fondatori» della nuova scienza genetica, gli inglesi William Bateson e Reginald Punnet.
[Da sinistra: Reginald Crundell Punnet (1875-1967) e William Bateson (1861-1926) nel 1903]
Entrambi hanno insegnato a Cambridge (Bateson è stato il primo professore di genetica, termine da lui coniato) e, insieme, hanno fondato, nel 1910, il Journal of Genetics.
A loro si deve, non solo un’ulteriore conferma sperimentale dei principi mendeliani, ma la scoperta e la spiegazione di un certo numero di eccezioni, evidenti in particolare nel mondo animale (tra i polli) e numerosi interventi per diffondere la rivoluzione mendeliana nel mondo scientifico dell’epoca.
Bateson, laureato a Cambridge, aveva lavorato come zoologo negli Stati Uniti, tra l’altro riconoscendo che il Balanoglossus, allora classificato come echinoderma, aveva una notocorda ed era quindi un cordato. Tornato a Cambridge nel 1885, ancora prima di conoscere il lavoro di Mendel aveva proposto di inserire i metodi statistici nell’allevamento; in seguito, come direttore del John Innes Institut per la ricerca sull’allevamento, scoprì che negli incroci realizzati dagli allevatori di polli si ritrovano i medesimi rapporti numerici trovati da Mendel negli esperimenti sui piselli; da allora fu il più ardente sostenitore di Mendel.4
Bateson fu il primo a tradurre il lavoro principale di Mendel in inglese. È famosa la relazione inviata alla Royal Society nel dicembre 1901, successivamente pubblicata nel saggio Experimental studies in the physiology of heredity.5 In questo ampio saggio, steso con la collaborazione di Edith Saunders, si riportano gli esperimenti eseguiti a partire dal 1897, si rileggono «i fatti dell’eredità alla luce delle scoperte di Mendel» sostenendone in modo molto determinato la portata concettuale e si propone la terminologia della nuova scienza.6
Nelle Conclusioni del saggio emerge la consapevolezza di Bateson sulla svolta epocale in cui si trova il mondo scientifico e la ricerca sui viventi. Riportiamo in nota il brano in lingua originale e, di seguito, alcune frasi particolarmente significative (nostra traduzione): «[…] Ora è chiara la direzione in cui è utile condurre questi esperimenti aprendo un vasto campo di ricerca. […] Lo scenario non è molto diverso da quello che si è aperto in chimica quando si cominciarono a formulare le leggi della combinazione. È ragionevole pensare che nascerà ora una stechiometria per i viventi, una scienza che fornirà l’analisi e l’esatta determinazione dei loro costituenti. Questa scienza tratterà di unità ereditarie; le possiamo chiamare unità-carattere, manifestazioni sensibili di unità fisiologiche fino a oggi di natura sconosciuta. Come il chimico studia le proprietà di ogni sostanza chimica, così devono essere studiate le caratteristiche degli organismi e determinata la loro composizione. Questo è il primo passo per la soluzione dei problemi pratici dell’eredità dei caratteri e per la determinazione delle leggi che regolano gli incroci di piante e animali. La conquista di questi risultati è ora solo una questione di tempo e di pazienza. […]».
Edith Saunders, dopo aver insegnato botanica in un collegio vicino a Birmingham e aver diretto il Balfour Biological Laboratory for Women, aveva iniziato a lavorare con Bateson e, tra il 1897 e il 1902, i due avevano pubblicato una serie di comunicazioni sull’ereditarietà dei caratteri recessivi e dominanti in Biscutella laevigata.
[A destra: Edith Rebecca Saunders (1865-1945)]
Grazie anche a questi lavori la Saunders nel 1905 divenne il primo membro femminile della prestigiosa Lynnean Society. Durante la seconda guerra mondiale abbandonò la ricerca per dedicarsi al volontariato. Nel 1945, a ottant’anni, era da poco tornata alla ricerca, quando morì cadendo dalla bicicletta.
Punnett è noto ai più per aver ideato lo schema di rappresentazione (quadrato di Punnett) degli incroci, usato ancora oggi dai biologi per stabilire la probabilità dei genotipi dei figli. Già nel 1902 si era unito al gruppo di ricerca di Bateson eseguendo numerosi esperimenti di ibridazione e, nel 1905 pubblica un testo di genetica (Mendelism) che sarà rieditato più volte e tradotto in sette lingue.
Durante la prima guerra mondiale, in tempi di ristrettezze alimentari, mise a frutto le nuove conoscenze genetiche per distinguere precocemente i maschi negli allevamenti di pollame in base al colore del piumaggio, carattere legato al sesso (Heredity in Poultry, 1923). Nella sua lunga vita (visse fino a 92 anni) contribuì a diffondere nel mondo scientifico i concetti fondamentali della genetica mendeliana. Riuscì a vedere le scoperte della biologia molecolare, stupefacenti conferme del quadro che egli aveva contribuito a costruire.7
Anche il botanico danese Wilhelm Ludvig Johannsen (1857-1027) che studiava la variabilità e l’ereditarietà nelle piante utilizzando metodi statistici, aveva riconosciuto l’importanza del lavoro di Mendel. Condusse i suoi lavori sperimentali su piante di fagiolo Phaseolus vulgaris appartenenti a «linee pure» come chiamò la serie dei discendenti nati tutti per autofecondazione.
Esempio di linee pure o cloni da semi di fagiolo, secondo Johansen
Il carattere che aveva scelto di studiare era il peso dei fagioli e trovò che sia quelli più leggeri che quelli più pesanti davano discendenti con la stessa distribuzione statistica dei pesi, ossia erano geneticamente identici.
Egli concluse che le variazioni di peso dei fagioli erano dovute a fattori ambientali e introdusse i termini «genotipo» per indicare la costituzione genetica di un organismo e «fenotipo» per indicare le caratteristiche di un organismo che possono cambiare nel corso della vita.
In altre parole, le qualità che si ereditano (l’insieme dei geni ereditati dai genitori) rimangono immutate anche quando, per azioni esterne, come lo scarso nutrimento, i caratteri che attualmente si manifestano (il fenotipo) possono apparire modificati. Quindi non si verifica eredità dei caratteri acquisiti, né le variazioni che si manifestano normalmente nel seno di una linea pura possono essere invocate come causa di evoluzione in senso darwinistico, poiché su di esse non agisce la selezione.
[Immagine a destra: Da sinistra: Wilhelm Ludvig Johannsen (1857-1927) e William Bateson (1861-1926) nel 1924]
Johannsen ha insegnato fisiologia vegetale all’università di Copenaghen di cui è diventato rettore nel 1917. L’elaborazione matematica dei risultati sperimentali, la chiarezza di esposizione e la precisa terminologia da lui introdotta (fu il primo a usare il termine «gene» per indicare l’unità ereditaria) lo fanno considerare uno dei fondatori della scienza genetica. La sua opera Elemente der exakten Erblichaitslehre ebbe tre edizioni (Jena 1909, 1913, 1926), quasi seguendo le conquiste della nuova scienza. Tradotta in tedesco divenne uno dei testi fondamentali della genetica.
Negli ultimi anni della sua vita, come storico e critico della scienza, ebbe un ruolo importante nel fondare la genetica evolutiva.
L’esperimento di Bateson e Punnet (1905): la concatenazione dei geni
Studiando la trasmissione di alcuni caratteri nei piselli Bateson e Punnet avevano ottenute due linee pure di piante: una con fiori color porpora e granuli pollinici allungati e un’altra con fiori rossi e granuli pollinici rotondi, in cui il carattere fiori purpurei (P = purple) è dominante sul carattere fiori rossi (p) e il carattere polline allungato (L = Long) è dominante sul carattere polline rotondo (l).
In un primo incrocio avevano accoppiato piante omozigoti per entrambi gli alleli (PPLL x ppll).
Le piante di pisello della generazione parentale (P), appartenenti a linea pura, con caratteri dominanti (fiore purpureo, polline allungato), hanno due alleli identici PP e due alleli identici LL che, alla meiosi, formano gameti tutti uguali contenenti un allele P e un allele L. Invece, le piante della generazione P con caratteri recessivi (fiore rosso, polline rotondo) hanno due alleli identici pp e due alleli identici ll che, alla meiosi, formano gameti tutti uguali contenenti solo un allele p e un allele l. Il risultato, ben evidente nello schema di Punnett, è una generazione F1 di eterozigoti PpLl con fiori color porpora e polline a grano lungo.
Come nei casi studiati da Mendel, le piante della F1 producono quattro differenti tipi di gameti aploidi in uguali proporzioni (PL Pl pL pl). Perciò, come si vede nell’immagine seguente (schema di Punnett a sinistra), incrociando le piante della F1 i due scienziati si aspettavano un tipico rapporto fenotipico di 9:3:3:1, basato sull’assortimento indipendente.
Invece le 381 piante ottenute nella F2 ottenute presentavano i caratteri parentali (porpora, allungato e rosso, rotondo) in percentuali maggiori di quelle attese (vedi tabella a destra nell’immagine).
Questi risultati facevano supporre che i due caratteri considerati non fossero assortiti indipendentemente, ma ereditati insieme, come se fossero in qualche modo associati: i gameti avrebbero due sole possibili combinazioni (PL e pl) e si formerebbero ibridi nel rapporto 3:1.
La prima ipotesi fu che questi geni fossero «concatenati» perché posti sullo stesso cromosoma: dal momento che durante la meiosi si separano i cromosomi interi, questi geni sono ereditati in gruppo. Ma questa spiegazione non era sufficiente. Infatti (vedi tabella) tra gli individui della F2 erano presenti individui con fenotipo porpora, rotondo (Ppll o PPll) e individui con fenotipo rosso, lungo (ppLl o ppLL): i geni si comportavano come se fossero legati solo parzialmente.
Oggi conosciamo il motivo di questo comportamento. Infatti, durante la meiosi possono avvenire scambi di materiale genico tra cromosomi omologhi in un processo chiamato crossing-over. Due geni posti sullo stesso cromosoma saranno ereditati insieme a meno che un evento cross-over li separi in due diversi cromosomi; in questo caso, un certo numero di figli (detti ricombinanti) non mostrerà associazione tra i due caratteri.
Il modello mendeliano resta valido per geni posti su differenti cromosomi, ma non può essere applicato automaticamente in tutte le situazioni.
Il fenomeno per il quale i geni non si assortiscono indipendentemente è chiamato «concatenazione» o linkage e la sua entità si calcola mediante la frequenza di ricombinazione (numero di gameti ricombinanti/numero di gameti totali).
Quando due geni posti sullo stesso cromosoma sono molto vicini, raramente sono separati dal crossing-over. Perciò, la frequenza di ricombinazione tra coppie di geni fu utilizzata per misurare la loro distanza e pose le basi per la costruzione delle mappe cromosomiche.
[A sinistra: Barbara McClintock (1902-1992)]
La dimostrazione che la ricombinazione avviene durante il crossing-over è stata data nel 1931, in un articolo pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, da Barbara McClintock (premio Nobel 1983) che riuscì a collegare un carattere ereditario con una parte di un cromosoma osservabile sotto un microscopio e così dimostrò la base fisica del crossing over.
La scienziata sapeva di aver fatto una scoperta importante. Come scriveva a Charles Burnham nel novembre 1929, «Non ho risolto la situazione completamente, ma ho aperto una nuova strada che è molto importante citologicamente.»
Verso la teoria cromosomica dell’ereditarietà
Alla svolta del secolo, il comportamento dei cromosomi e la sua importanza nella trasmissione dei caratteri era ancora un argomento scottante e molti scienziati, tra cui Edmund Wilson al Dipartimento di Zoologia della Columbia University, stavano lavorando su questo problema.
[A destra: Edmund Beecher Wilson (1856-1939)]
Già nella sua pubblicazione del 1896, Cell in Development and Inheritance, Wilson sosteneva che le unità ereditarie sono portate dai cromosomi. Studiando poi il problema della determinazione del sesso e, in una serie di saggi pubblicati nel 1905, evidenzia il ruolo dei cromosomi sessuali.
La riscoperta delle leggi di Mendel e gli esperimenti di ibridazione che si ripetevano in molti laboratori fecero intuire a Wilson l’importanza di identificare la relazione tra cromosomi e unità ereditarie, quella che sarà definita «teoria cromosomica dell’ereditarietà». Ma la risposta alla domanda se le particelle ereditarie trasmesse dal padre e dalla madre durante la fecondazione conservano la loro integrità o si fondono completamente sarebbe giunta dalla biologia molecolare solo a distanza di un secolo.
Nel 1902, a soli 25 anni, l’americano Walter Sutton, dottorando presso il laboratorio di Wilson, ipotizzò che i cromosomi siano i «contenitori» dei fattori ereditari (i geni) che si trasmettono alla discendenza.8
[A sinistra: Walter Stanborough Sutton (1877-1916)]
Aveva notato che ciascun cromosoma è diverso e che la meiosi riduce il numero dei cromosomi nei gameti e riteneva che «l’associazione dei cromosomi paterni e materni in coppie e la loro successiva separazione durante la divisione riduzionale […] potrebbero costituire la base fisica della legge mendeliana dell’eredità».
In una pubblicazione del 1903, The Chromosomes in Heredity, riassumeva e discuteva l’importanza delle sue conclusioni evidenziando in modo ancora più forte il collegamento tra le leggi di Mendel e i cromosomi. Lo stesso Wilson, come ammise più tardi, non si rese conto immediatamente dell’importanza di queste idee.
[A destra: Theodor Boveri (1862-1915)]
Anche il tedesco Theodor Boveri, attraverso osservazioni ed esperimenti compiuti indipendentemente aveva stabilito il collegamento tra cromosomi ed eredità riconoscendo che i cromosomi meiotici si comportano esattamente come ci si aspetterebbe per i geni mendeliani. Egli fu tra i primi scienziati a documentare le fasi della divisione meiotica.
Studiando lo sviluppo delle cellule uovo dei ricci di mare, dimostra che il nucleo dello spermatozoo e il nucleo della cellula uovo contribuiscono in maniera equivalente, con un numero aploide di cromosomi, a formare le cellule diploidi da cui si sviluppano le larve dei ricci di mare.
Il modello interpretativo proposto da Sutton e Boveri corrispondeva al modello mendeliano: era in accordo col fatto che le unità geniche erano poste sui cromosomi e passavano da una generazione all’altra per mezzo delle cellule riproduttive aploidi e riusciva anche a prevedere i risultati degli incroci sperimentali offrendo opportunità nuove per affrontare problemi ereditari e disordini genetici.
Riassumendo: i primi passi della genetica in estrema sintesi
Mendel aveva posto le basi per pensare l’eredità in un modo radicalmente nuovo e, non a caso, il mondo scientifico non ne aveva compreso il significato.
Ci vollero trentaquattro anni per riportare alla luce la pubblicazione di Mendel, ma la successiva diffusione delle sue scoperte si verificò a un ritmo elevatissimo, all’inizio nel mondo scientifico inglese, poi in America.
Il campo di ricerca era nuovo e promettente: si potevano ora fare previsioni sulla modalità con cui i caratteri vengono ereditati ed effettuare controlli immediati su queste previsioni.
Il passo avanti, la fondazione della scienza genetica, avviene nei primi anni del XX secolo grazie agli studi citologici che hanno reso evidente l’importanza dei cromosomi nella cellula e le successive sorprendenti dimostrazioni sperimentali della corrispondenza tra geni e cromosomi.
Accompagnati da una serie di nuove scoperte, quasi a preparare la strada all’era della rivoluzione molecolare, iniziata con l’identificazione della struttura del DNA proprio alla metà del secolo.
Vai alla prima parte di questa «introduzione alla genetica» sulla Trasmissione dei Caratteri
Maria Cristina Speciani
(Membro della Redazione della rivista Emmeciquadro, già docente di Scienze Naturali nei licei, autore di libri di testo)
Note
- Cfr.: Erwin Heberle-Bors, Gregor Mendel e l’origine della genetica, in Emmeciquadro n° 03 – Settembre 1998.
- Ernst Mayr, Storia del pensiero biologico, Bollati Boringhieri, Torino 1990 p. 658.
- In Mirabilis jalapa (Bella di notte) il colore del fiore è controllato da un sistema in cui esistono geni per fiori rossi (R) e geni per fiori bianchi (r). Un omozigote RR ha fiori rossi, un omozigote recessivo (rr) presenta fiori bianchi. I fiori prodotti dalle piante Rr sono rosa, un miscuglio di rosso e bianco.
Tale situazione è chiamata dominanza incompleta perché nessuno dei due geni è chiaramente dominante: le caratteristiche dell’eterozigote non sono le stesse di uno dei due organismi omozigoti. Anche in questo caso valgono le leggi di Mendel: quando una generazione F1 con fiori di colore rosa è incrociata con se stessa, i rapporti tra colori dei fiori nella F2 sono 1:2:1 (rosso:rosa:bianco). Essi corrispondono al rapporto 3:1 che si potrebbe ottenere in un caso di dominanza semplice tranne per il fatto che l’eterozigote ha fenotipo diverso dall’omozigote dominante (è rosa invece che rosso). - Già nel 1902, aveva consigliato ad Archibald Garrod, un medico londinese che si occupava di malattie metaboliche ed è considerato uno dei padri della genetica umana, di verificare se, nelle famiglie di pazienti con difetti congeniti di metabolismo, la distribuzione della malattia corrispondeva a quella di un gene recessivo mendeliano.
- William Bateson, E.R. Saunders, Experimental studies in the physiology of heredity, Harrison & Sons, London, 1902. «Conclusions: We have now sketched the principal deductions already attained by the study of cross-breeding, and we have pointed out some of the results now attainable by that method. The lines on which such experiments can be profitably undertaken are now clear and a wide field of research is open. The properties of each character in each organism have, as regards heredity and variation, to be separately investigated, and, for the present, generalisation in regard to those properties must be foregone. The outlook, in fact, is not very different from that which opened in chemistry when definiteness began to be perceived in the laws of chemical combination. It is reasonable to infer that a science of Stoechiometry will now be created for living things, a science which shall provide an analysis, and an exact determination of their constituents. The units with which that science must deal, we may speak of, for the present, as character-units, the sensible manifestations of physiological units of as yet unknown nature. As the chemist studies the properties of each chemical substance, so must the properties of organisms be studied and their composition determined. To the solution of the practical problems of heredity, and a determination of the laws of breeding both plants and animals, this is the first step. The attainment of these solutions is now only a question of time and patience. That the same method will give a key to the nature of specific differences [speciation], we may perhaps fairly hope. Certain it is, that until the several characters are thus disentangled and their variations classified, no real progress with this question can be expected.».
- Cfr. anche: M.C. Speciani, La trasmissione dei caratteri, in Emmeciquadro n° 58 – Settembre 2015. Nel saggio citato si confermano i termini dominante e recessivo (già usati da Mendel) e, riferendosi alla dimostrazione mendeliana che le unità ereditarie esistono in coppie, si definiscono allelomorfi (alleli) i caratteri antagonisti; di conseguenza, è eterozigote «lo zigote formato dall’unione di una coppia di gameti allelomorfi opposti» e omozigote «lo zigote formato dall’unione di gameti che hanno allelomorfi simili» (è puro l’organismo costituito da gameti che portano allelomorfi identici).
- Nel 1908 Punnet, non riuscendo a spiegare come mai un gene dominante non diventava costante in una popolazione, pose il problema a Harold “G.H” Hardy (con cui giocava a cricket) e da lì nacque una parte del principio di Hardy-Weinberg sulla genetica di popolazioni.
- Sutton non ha mai terminato il suo dottorato, ha abbandonato la ricerca e si è laureto in chirurgia; dopo aver prestato servizio in Francia durante la prima guerra mondiale distinguendosi nella cura dei soldati feriti, è morto in seguito ad un’operazione di appendicite a soli 39 anni.
© Pubblicato sul n° 59 di Emmeciquadro