È in atto una crescita a frattali: è come se le economie crescessero a ondate, alternate a fasi di retrocessione, e poi ancora crescita, e poi di nuovo arretramenti. Il mondo crescerà, nel suo insieme, ancora molto. L’unico continente destinato con tutta probabilità a non crescere più, se non marginalmente, è il nostro, è l’Europa.
Non dobbiamo prestar fede, tuttavia, ai numerosi colleghi in molte università del mondo e ai tantissimi imbonitori consulenti i quali profetizzano un’invertirsi del megatrend dalla crescita alla decrescita. È, infatti, una visione plutocentrica: i paesi ricchi forse potranno subire una battuta d’arresto nel loro costante svilupparsi, perché la globalizzazione ha messo in comunicazione i vasi del benessere e a fronte dell’incremento del tenore di vita in tanti paesi troppo a lungo poveri è inevitabile che ci sia un certo deflusso di ricchezza da altri paesi. Ma nel suo insieme, la crescita mondiale non si arresterà.
Sarà tuttavia una crescita a frattali. Ossia contraddistinta da una distribuzione disomogenea sul pianeta, con aree vivaci e dinamiche e altre stagnanti, e da un ritmo discontinuo e imprevedibile e con effetti di contemporaneità inaspettati sul piano delle mobilitazioni collettive per via della rapidità di comunicazione dei social networks. Qualcosa di nuovo, dunque, rispetto a quanto eravamo abituati a studiare dal Novecento in poi. E qualcosa di non precisamente positivo, almeno per l’Europa.
Le cause di questo nuovo megatrend non sono in primis di natura soprattutto macroeconomica o sociale, ma più che altro sono cause di carattere istituzionale. Infatti, è l’Europa politica, per come sono state congegnate le principali istituzioni europee, a non saper più intercettare la crescita. Più in dettaglio, una causa di questa frenata generale è senza dubbio, oggi, la prevalenza di una visione germano-centrica che ha fatto del controllo dei prezzi l’unico criterio ispiratore, un atteggiamento che ci sta portando dritti alla deflazione, in un’Europa ch’era stata per decenni vittima dell’inflazione…
Naturalmente l’inflazione è certo un pericolo, ma devi temerla e prevenirla e combatterla quando l’economia cresce in fretta, non quando è ferma. Quando l’economia è ferma, non c’è inflazione. Ma non vi è solo questa causa, dietro la probabile stagnazione europea. C’è anche un’altra questione largamente sottovalutata, un altro handicap storico, quello per cui oggi l’Eurozona non ingloba la Russia, e senza Russia l’Europa non può davvero crescere. Non lo dico io soltanto, l’aveva già capito e detto Charles De Gaulle, che voleva l’alleanza forte con la Russia anche per bilanciare la superpotenza americana.
Oggi, quindi, sappiamo che per queste due ragioni di fondo non sarà l’Europa la protagonista della prossima stagione di crescita mondiale. Le aree di sicuro successo, i trend vincenti, in questo quadro di “crescita a frattali”, son tutti extraeuropei.
Guardando allo scenario globale, a quest’Europa che tende a fermarsi si contrappone un’Asia che cresce, sia pure a diverse velocità. La Cina è fortissima, favorita dal suo capitalismo totalitario da Paese in fondo ancora comunista, ma basa la sua crescita sugli investimenti strumentali e non riesce a creare la domanda interna che le sarebbe necessaria, tanto da star cercando oggi di inurbare centinaia di milioni di contadini: li vogliono trasferire dalle campagne alle città per sottrarli alla sopravvivenza dell’autoconsumo…
La futura crescita mondiale sarà segnata da avvallamenti e da ondulazioni, come quando si sorvolano le Ande e si vedono dall’alto non una, ma tante cordigliere. Unica eccezione a questo andamento a frattali, gli Stati Uniti
Erano dati per morti, invece eccoli qui più forti di prima. Io non ho mai creduto al decoupling, si pensava che soltanto i Brics avrebbero continuato indefinitamente a tirare e invece è bastato uno scossone in Argentina che subito l’incertezza si è propagata anche a Turchia e Brasile. Si tratta di economie in crescita, ma ancora fragili. Mentre gli Usa no, quelli continuano a riprendersi: Obama ha fatto ripartire l’occupazione, ora vuole introdurre il salario minimo, ha varato una politica neo-keynesiana; ha abbassato i tassi, anche se non ha ancora stimolato quanto dovrebbe gli investimenti. Con l’espansione monetaria ha stimolato i consumi privati, ha salvato aziende, rilanciato banche…
Nell’insieme, dunque, il tema di domani non è quello del rischio-decrescita, ma quello, nuovo, di una crescita a chiazze. Oggi sappiamo che sta avanzando il vero, prossimo protagonista della crescita, che sarà senz’altro l’Africa, un continente che ha tutti i requisiti per diventare la nuova locomotiva dell’economia mondiale. Mi riferisco all’Africa Nera, al Congo, alla Nigeria. È un continente straordinario, ricco di ogni risorsa, anche se non riesce ancora a sfruttarla. Ma imparerà.
Questa partenza è così lenta per motivi istituzionali, di stentati nation buildings. In Africa abbiamo creato degli stati, non ancora i mercati. Quelli nascono da sé, non per decreto. Ma certo hanno bisogno delle istituzioni: della spada del sovrano che li fa liberare dai lacci che li legano. Oggi, le grandi potenze occidentali e la Cina si stanno contendendo le aree d’influenza sull’Africa, francesi contro inglesi e americani, cinesi contro tutti, a quasi qualunque costo… E sono più avanti degli altri: quella cinese è una neocolonizzazione.
E quindi le straordinarie possibilità di crescita economica dell’Africa non hanno trovato ancora l’equilibrio giusto per emergere. Nessuno ha regalato nulla, anzi. Ma ricordiamocelo: l’Africa ha tutto, e prima o poi verrà fuori. Per esempio, soltanto il Lago Tanganika ha più petrolio del Golfo Persico; del resto lo conferma la paleontologia, la vita è nata lì, i fossili sono tutti lì…
Manca ancora un compiuto sistema di redistribuzione del reddito, ma qualcosa inizia a muoversi: il fatto che in Nigeria si vendano ormai milioni di telefonini vorrà ben dire che i consumi e il progresso si fanno strada. Non c’è ancora il necessario avvio di una sana redistribuzione del reddito, ma comincerà. E sarà crescita galoppante.