Cosa sarebbe successo se quella sera di circa quarant’anni fa, in aeroporto a Milano, don Luigi Giussani avesse rotto ogni indugio e si fosse avvicinato a Pier Paolo Pasolini per conoscerlo? Sappiamo solo che il fondatore di Cl si pentì di quella esitazione e che gli stava scrivendo una lettera quando l’intellettuale, scrittore e regista friulano sarà trovato morto sul litorale romano a inizio autunno del 1975.
Non è dato di immaginare cosa sarebbe successo, ovviamente. Una cosa però è certa, secondo il poeta e intellettuale Davide Rondoni: il rapporto tra i due è più che mai significativo per l’uomo di oggi, e la sua valenza deve ancora essere adeguatamente scoperta e condivisa su larga scala. Questo è ciò che ha iniziato a fare Rondoni nella sua lezione all’annuale appuntamento di Conversazioni a Milano, la Summer School organizzata da Fondazione Ceur e Fondazione per la Sussidiarietà, dal titolo “Realismo, Educazione, Futuro. Cose urgenti per l’Italia”. Cosa c’è di tanto urgente per l’Italia che i due autori, pur diversissimi, hanno in comune?
Sappiamo che la crisi epocale dell’uomo di oggi non è meramente economica, e infatti la indichiamo con parole come smarrimento e incertezza, quando non solitudine e angoscia.
Giussani e Pasolini erano arrivati alla stessa conclusione: l’uomo ha perso di vista la sua realtà di uomo, è affetto da una debolezza di autocoscienza e di energia affettiva che gli impedisce un rapporto utile con la realtà. In altre parole, è come se il dialogo tra quello che la vita, la realtà gli offre e i suoi desideri profondi si fosse interrotto. La realtà non parla davvero e l’uomo non è più capace di ascoltarla. Non è un caso quindi che la sfida culturale lanciata dai due sia incentrata proprio sulla parola “realismo”.
C’è un cambiamento epocale avvenuto negli anni in cui Giussani e Pasolini portano avanti la loro azione educativa: il superamento della civiltà contadina. “C’è più differenza tra me e mio nonno che tra mio nonno e un uomo di mille anni fa”, osserva efficacemente Rondoni. E c’è anche una trasformazione esistenziale e spirituale all’origine della crisi: ad un certo punto l’uomo ha pensato di non dover più essere salvato, di avere dentro di sé un nucleo “a posto”, che deve solo saper tirare fuori per arrivare al compimento. Da qui s’interrompe la relazione tra l’uomo e il mondo, che rimangono due realtà separate; il loro rapporto, con queste premesse, non serve più. Ed è proprio contro questo punto che i due si scagliano. E’ importante notare che non si tratta di un’invettiva morale quella che mettono in campo. Giussani — con grande plauso di alcuni e grandi critiche di altri — non si focalizzò mai sull’aspetto morale, ma si attestò sempre su un piano più profondo, originario: quello che riguarda la natura della persona. In una parola: un essere umano è fatto in modo tale che può davvero fare esperienza della realtà?
Il contributo che entrambi danno, utile a guardare correttamente il problema dell’assetto dell’uomo di fronte al reale — ha detto Rondoni — “ha a che fare con la natura dell’io”. Giussani parlando di sé, disse: “Mi accorgo che la mia origine è come un seme di un potente dinamismo che non mi lascia tregua e mi spinge verso un termine ignoto…”. Pasolini parlò di se stesso come di un urlo: “è certo che qualunque cosa questo mio urlo voglia significare, esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine. Una definizione di me stesso? E’ come domandare una definizione dell’infinito… E’ impossibile definirmi”.
Entrambi, più che speculando vivendo intensamente, hanno creduto nell’esperienza, nella realtà come ambito in cui poter intraprendere l’avventura del senso. La realtà corrisponde, non necessariamente perché piace ma perché è leggibile. E invita a un oltre. L’io non è già pre-salvato, ma ha bisogno di inoltrarsi in questo rapporto con la realtà.
Ed è l’esperienza come rapporto ricco, profondo con il mondo, che è il sacro, ciò che Rondoni ritiene essere stata la vera pietra di scandalo che Pasolini rappresentò, non tanto il suo attacco al potere costituito (non l’avrebbero ospitato sulla prima pagina del Corriere della Sera, osserva), nonostante il suo attacco alla società capitalista sia stato spietato. Pasolini è stato il primo, ad esempio, a rendersi conto delle conseguenze socio-economiche della crisi antropologica, del fatto che si fosse intrapresa una strada pericolosa, quella dello sviluppo senza progresso, di una vita ridotta a merce. E di uomo ammalato dentro, colpito da una strana debolezza che, come le radiazioni di Chernobyl menzionate da Giussani, ha messo a dura prova la sua libertà, la sua energia di adesione alla realtà. Chissà cosa c’entra questo con l’esperienza del “carnale irraggiungibile” di cui patì Pasolini, con la sua lucida ma “disperata vitalità” fatta di tratti personali specifici, unici, contingenti, che riguardavano solo l’uomo Pier Paolo Pasolini.