I fiocchi scendevano leggeri e per un attimo qualcuno si è lasciato cullare dalla suggestione di una nevicata post natalizia, candida, lieve, romantica; ma a ben guardare ci si è resi conto ben presto che quella che stava cadendo non avrebbe imbiancato il paesaggio, dipingendo uno scenario da cartolina. Era neve chimica. Un fenomeno alquanto spiacevole cui hanno assistito martedì i cittadini di alcuni quartieri di Milano e di alcuni paesi della provincia. In pratica, la cappa di inquinamento che sovrasta la città si è in parte consolidata, provocando la caduta di fiochi di cadmio, piombo, silicati, solfuri, ioduro di potassio ed ossido di rame. «Si tratta del cosiddetto scavenging (spazzare), un fenomeno atmosferico, in realtà molto comune», svela a ilSussidiario.net il climatologo Franco Prodi. «Consiste – continua – nella capacità che, nell’atmosfera, hanno le nubi (ovvero, sia le goccioline che i cristallini in crescita) di catturare le particelle e i gas presenti». Andiamo con ordine: «C’è una prima particella che svolge la funzione di nucleo sul quale si costituisce la gocciolina o il cristallino che, assieme, formano le nubi. La crescita di tale nucleo, creando un afflusso di molecole di vapore – in condensazione verso interno o in evaporazione verso l’esterno -, determina un effetto sulle particelle di aerosol presenti. E, in certe condizioni, prevalgono dinamiche che conducono le particelle presenti verso la gocciolina o verso il cristallo».
Il professore precisa che questo processo avviene normalmente. «Si determina, quindi una sorta di operazione di “cattura” che amalgama le particelle o i gas con le goccioline o i cristalli. Occorre ricordare che, considerata la naturalezza del procedimento, la neve è sempre inquinata». Quindi, quando viene a formarsi in un’atmosfera particolarmente densa di agenti chimici, semplicemente lo sarà di più. «Tutto ciò, tra le altre cose, costituisce un efficacissimo meccanismo di pulizia dell’atmosfera. Per questo, definirla neve chimica, non è del tutto corretto». Da cosa dipende, tuttavia, un inquinamento così elevato? «Le strutture delle agenzie regionali per l’ambiente effettuano ormai da tempo delle registrazioni e dei monitoraggi tali per cui la ripartizione dell’inquinamento prodotto dal traffico veicolare, dalle industrie, e dal riscaldamento domestico è assolutamente nota. Si può dire che, a grandi linee, come ordini di grandezza, si equivalgano, contribuendo, ciascuno, a circa un terzo dell’inquinamento totale, con variazioni stagionali più o meno significative». Resta da capire, a questo punto, se bloccare l’accesso ai non residenti nell’Area C possa rappresentare, per Milano, una svolta significativa. «Di certo, i residenti si accorgeranno del cambiamento. Ma, quando si fanno scelte di questo tipo, si deve mettere assieme tutti gli elementi che coinvolgono la vita di una metropoli; il commercio, ad esempio, ne fa parte, ed è chiaro che sarà penalizzato. Così come subiranno dei danni quei lavoratori che perderanno diverse ore per i propri spostamenti».
Secondo il professore, si tratta spesso di decisioni adottate senza particolare cognizione di causa. «Manca un confronto tra chi prende la decisioni di sospendere il traffico e quella branca della meteorologia che è in grado di affermare quale sia il grado di inquinamento in un determinato periodo dell’anno». Le soluzioni per la salute dei cittadini non è che manchino. «Ma vanno studiate sul lungo periodo, adottando provvedimento che necessitano di tempo. Come implementare l’utilizzo delle auto elettriche, del trasporto pubblico non inquinante, o del telelavoro».