Oggi si celebrano in Duomo i funerali di Nicolò Savarino, il vigile di 43 anni investito e ucciso da un Suv settimana scorsa in Bovisa. Appena appresa la tragica notizia, sulle agenzie sono rimbalzate le testimonianze di cittadini e colleghi. Hanno raccontato come, una volta tolta la divisa, Nicolò indossasse i panni del volontario a favore dei disabili. Qualcuno l’ha definito “eroe”. A me non piace questa retorica spiccia. Soprattutto quando strumentalmente contrapposta ad altre persone che, nella cronaca di questi giorni, non hanno dimostrato di saper affrontare drammatiche situazioni con un coraggio da leoni.
Manzoni scriveva che uno il coraggio non se lo dà da sé. Con questo non voglio addentrarmi nelle vicende giudiziarie del comandante Schettino. Se i reati che gli sono contestati, come sembra, sono veri, è giusto che paghi. Nessun giustificazionismo, per carità. Solo non mi piace lo sfogo collettivo che lo sta colpendo in questi giorni, quasi impersonificasse i difetti di una nazione. No, non è così. L’insistente e morbosa sottolineatura del male non conduce da nessuna parte. Non solo, impedisce anche di guardare a ciò che è degno di essere trattenuto. E che permette una rigenerazione anche dopo una grande tragedia.
Come Nicolò Savarino, i tanti che nella tragedia della Costa Concordia si sono contraddistinti per gesti di altruismo sono persone per le quali il bene dell’altro non è estraneo alla propria esistenza. Si tratta di uomini e donne che sono stati educati a questa dimensione umana, che costituisce la stoffa della vita di tutti i giorni. Da questo nasce il coraggio di chi abbandona un posto sicuro nella scialuppa di salvataggio per far salire un bambino, come ha fatto Giuseppe Girolamo, ancora disperso.
Da qui nasce l’accoglienza senza riserve ai 4 mila naufraghi da parte dei 700 abitanti del Giglio in piena notte, per i quali il Presidente Monti ha proposto la medaglia d’oro al valore civile.
Tra questi c’è anche il parroco dell’isola che ha spalancato le porte della chiesa e ha offerto i paramenti sacri per coprire quanti uscivano infreddoliti dall’acqua.
Il filo rosso che tiene insieme questi uomini e donne è un tessuto popolare che nel tempo ha fatto propria l’espressione evangelica per cui non c’è amore più grande di chi dona la vita per i propri amici.
La nostra storia è ricca di esempi in questo senso, da nord a sud. Anche negli ultimi anni si possono rintracciare episodi e persone che testimoniano la possibilità di vivere così, all’altezza di quella naturale esigenza che è l’interesse per l’altro. Sia che si tratti della vedova di un soldato napoletano ucciso a Nassiriya e capace di perdonare gli assassini di suo marito, sia che si tratti di un padre brianzolo che trasforma la casa in cui gli hanno ammazzato moglie, figlia e nipotino in un centro d’accoglienza della Caritas. Questo è il popolo che fa l’Italia.