«Fanuc rappresenta l’eccellenza della produzione tecnologica giapponese, l’azienda che più ha spinto lo sviluppo industriale del Giappone negli ultimi 50 anni». Esordisce così Marco Ceribelli, amministratore delegato di Fanuc Italia, l’azienda con sede ad Arese che dirige dal 2005 e dove è approdato all’inizio degli anni ‘90. «È stata Fanuc a produrre i primi controlli numerici che sono alla base delle lavorazioni in metallo dei motori delle automobili piuttosto che i componenti aerodinamici di ascensori, pompe, ecc.». Nel settore della macchina utensile «noi italiani siamo al top della produzione mondiale». La prova? «Le grosse aziende si rivolgono a noi, non si mettono nelle mani di fornitori qualsiasi. Perché nei macchinari siamo una delle teste pensanti dell’Europa». L’anno scorso Fanuc ha fatturato 4 miliardi e mezzo di euro. «Fanuc è un’azienda unica nel suo genere perché investe buona parte di quello che guadagna in ricerca e sviluppo e non ha un euro di debito: il suo statuto impedisce di accendere mutui e finanziamenti». Fanuc ha la leadership nella produzione di apparecchiature per i costruttori di automotive. In azienda c’è anche una divisione robot: «Abbiamo la produzione più articolata del mondo, dal mezzo chilo a 1.350 chili di sollevamento per i settori più svariati; da quelli per ambienti disagiati, come i reparti di verniciatura, alle più moderne applicazioni che riguardano il medicale, il packaging, beverage, picking». Un esempio? La Ferrero, una delle eccellenze della nostra industria alimentare, è una dei migliori clienti di Fanuc: «I Ferrero Rocher sono messi in scatola da uno dei nostri robot». Dietro eccellenze come Ferrero non c’è il caso o la fortuna. Non c’è solo un prodotto che il marketing ha indovinato: «C’è un sistema che prevede l’ingegnerizzazione in Italia delle macchine che producono i Ferrero Rocher (piuttosto che i Kinder Fetta al Latte) macchinari che vengono poi esportati in tutte le Ferrero del mondo dove si producono le stesse merendine con la stessa qualità con la quale vengono confezionate in Italia». Poi c’è una terza divisione, «che noi chiamiamo “robomacchine”»: sono centri di lavoro, uno per la foratura e la fresatura; una serve per tagliare stampi e componenti di matrici e una pressa a iniezione che serve per fare i componenti in plastica, come il case dei telefoni cellulare. «Il vantaggio di Fanuc è che da sempre li facciamo con l’elettronica, mentre gli altri usano ancora l’olio con i suoi consumi, inquinamento e precisioni limitate: noi invece usiamo da sempre un sistema elettronico che permette di avere un controllo più preciso e un impatto ambientale molto più basso, molto meno rumore, meno spazio occupato dalle macchine, ecc.». Il display di un comune cellulare non è un pezzo di plastica pressato ma il risultato di uno stampo le cui superfici interne sono state lavorate con precisione nanometrica. «Dove ci sono tecnologie importanti dietro ci siamo noi. Fanuc fornisce il “cervello”, il controllo che permette alla macchina di fare una serie di operazioni. I costruttori ci mettono le loro idee, le loro parti meccaniche e assieme otteniamo un grande risultato».
A sentirla parlare viene da dire che non state risentendo della crisi…
La crisi non l’abbiamo sentita più di tanto perché i costruttori italiani di macchine utensili, che sono i nostri principali clienti, e quelli che costruiscono le linee con i nostri robot si sono ben attrezzati per esportare il grosso della produzione all’estero.
All’estero come vanno le cose?
Si parla ormai di un 70-80%, anche 90% della produzione esportata e di un mercato interno che praticamente si è dimezzato: fatto 100 il 2005, oggi siamo intorno al 50-51%. Mentre il consumo interno si è ridotto della metà, all’estero le cose vanno bene, perché il prodotto è buono, di qualità e il supporto non manca. I nostri migliori clienti sono riusciti addirittura a espandersi all’estero.
In che modo?
Sempre con lo stesso metodo: facendo filiali all’estero, magari piccole, oneste senza fronzoli, ma concentrate sul business. Poi ci sono persone di fiducia, capaci, motivate che vanno sul posto e mettono in piedi la filiale, costruiscono una rete di clienti, ecc. Che è quello che i giapponesi hanno fatto da noi. Nel 1991, quando sono arrivato in azienda, in Europa erano tutti giapponesi; poi pian piano le filiali di Fanuc sono state lasciate in gestione al personale locale.
Che prospettive ci sono in Italia?
Mentre le aziende italiane sono pmi, nel mondo assistiamo ad aggregazioni di colossi che producono dalla a alla z tutto ciò che riguarda la macchina utensile. Sarà da vedere se questi colossi riusciranno poi a integrare tutte le realtà che hanno acquistato nel mondo, con tutti i loro prodotti, metodologie, culture diverse. Oppure…
Oppure?
Oppure se le nostre pmi che sono abbastanza snelle riusciranno invece a adattarsi meglio al mercato. Il dinosauro è un animale grosso, ma ha bisogno di tanto cibo; il coccodrillo, che è più piccolo e rimane nella sua pozzanghera riesce a sopravvivere; il dinosauro grande e grosso si è estinto, il coccodrillo è arrivato fino ai nostri giorni. Questa è la sfida.
Però Fanuc, per dimensione, è più un colosso che una pmi, e così?
Il nostro fondatore ha sempre detto che siamo un piccolo gigante. Certo, siamo una vera e propria multinazionale. Che tiene sempre sott’occhio l’efficienza e i costi. Abbiamo dei parametri che teniamo costantemente monitorati. Per noi, ad esempio, non è importante solo vendere ma anche vendere bene e avere un servizio post vendita che renda soddisfatto il cliente. Le faccio un esempio.
Prego.
Prima di aprire l’ufficio vendite Fanuc apre il servizio di supporto al prodotto. Questa è lungimiranza. In termini finanziari, fare una cosa del genere in tutta Europa è costato moltissimo nel ‘91. Però è importante perché il cliente che compra una macchina da un milione di euro vuole essere sicuro di avere un supporto. Prima di staccare l’assegno ci pensa un attimo, vuol vedere cosa c’è dietro; ad esempio se chi gliela sta vendendo ci sarà ancora tra 5-10 anni. Fanuc, in questo senso, garantisce 25 anni i pezzi di ricambio.
Come fate?
In realtà, ne forniamo anche di molto più vecchi: ancora oggi ce ne sono in giro di molto vecchi che lavorano ancora e anche di questi offriamo supporto. Sono valori che mettono in campo certe aziende che non a caso hanno successo, ma perché hanno investito a medio e lungo temine. È vero che in Italia si fa fatica a ragionare a medio e lungo termine…
Quali sono le prospettive di sviluppo di Fanuc?
Ogni mese fa a sé. Tutti facciamo grandi ragionamenti su scala annuale poi ci sono delle turbolenze internazionali di varia natura che influiscono in modo molto pesante sulle prospettive. Dopo un 2012-2013 abbastanza allineati come numeri, abbastanza stabili, le prospettive per il 2014 si presentano buone.
In base a cosa lo dice?
Ci sono dei segnali che indicano un trend positivo. Non eccezionalmente positivo, ma da cui ci si può aspettare una crescita del 5%.
Che tipo di segnali?
Abbiamo un indicatore che per noi è molto importante: il nostro centro di assistenza che è in contatto giornalmente con i nostri clienti, negli ultimi due-tre mesi ha registrato un più 5-10%. Vuol dire che le aziende hanno ripreso a lavorare. E in generale le aziende si stanno muovendo più dell’anno scorso.
Anche sul mercato interno?
Sì, anche per quanto riguarda il mercato interno l’acquisto di macchine utensili è leggermente cresciuto. O perlomeno la forbice tra export e consegne sul mercato interno si è ridotta. Non è molto per un mercato come quello italiano che era 4 o 5 al mondo. Ma quel più 4-5% sul mercato interno vuol dire che si sta vendendo un buon numero di macchine utensili ad aziende italiane. C’è da dire anche un’altra cosa.
A cosa si riferisce?
Se contiamo il 2009 come anno tragico, nel 2013 si chiuderebbe il quinquennio che nel settore della macchina utensile è il tempo medio per l’investimento in un prodotto di qualità. Visto così, il 2014 potrebbe essere l’anno della sostituzione dei macchinari dopo 5 anni di ammortamento. In questo caso si rimetterebbe in moto il meccanismo della produzione industriale italiana. In quest’ottica, il rifinanziamento della legge Sabatini potrebbe dare una grossa mano.
Altri progetti che avete in corso?
Ce n’è uno molto interessante che riguarda la formazione; è un progetto a cui ho creduto da subito e mi vede personalmente coinvolto da ormai tre anni. Abbiamo costituito un consorzio a cui partecipano istituti professionali, aziende come Fanuc e gli enti formativi regionali, insieme abbiamo dato vita al Polo Meccanica e Meccatronica che serve a tirar su le nuove leve. Ci sono ragazzi preparatissimi e motivati: in Fanuc ne abbiamo assunti 5 in due anni. Ne abbiamo visti parecchi e posso dire che il 90 % era potenzialmente da assumere
Come funziona?
Il personale docente è fornito dalle aziende; si tratta di specialisti che fanno ore di formazione su un prodotto specifico, in generale sulle macchine. I ragazzi che escono da quei corsi sono pronti per essere rapidamente inseriti in ambienti lavorativi anche abbastanza complessi. Uno di questi ragazzi, a esempio, dopo 5 anni di liceo scientifico non se la sentiva di andare all’università; si è accorto di aver sbagliato strada, si è fatto un anno e mezzo di formazione e adesso è qui a lavorare. Tra l’altro, cosa non comune, sono tutti ragazzi che parlano fluentemente inglese. E anche questo mi sembra un segnale positivo.