“Il fatto che quattro aziende milanesi su cinque siano impegnate in iniziative di responsabilità sociale, è la documentazione dell’equilibrio del nostro sistema imprenditoriale. La presenza di valori di eticità rivela che un mercato funzionante non è sinonimo di ‘mors tua vita mea’. Quando un consumatore compra un vasetto di marmellata, acquista anche una serie di valori che reputa importanti”. Giorgio Fiorentini, professore di Economia delle aziende dell’Ipas e dell’SDA Bocconi, commenta così la ricerca della Camera di commercio di Milano sulla responsabilità sociale delle imprese milanesi. Dal rapporto emerge che il 79% delle aziende realizzano iniziative nell’ambito del CSR, spendendo 725 milioni di euro l’anno. La scelta di adottare queste politiche è dettata innanzitutto da motivazioni etiche degli imprenditori (61,6%), per lo sviluppo dell’impresa (13,7%) e per migliorare l’immagine aziendale (12,3%).
Professor Fiorentini, qual è l’idea del lavoro secondo gli imprenditori milanesi, stando almeno ai dati della Camera di commercio?
La percentuale, pari a un’impresa su cinque, è elevatissima, soprattutto se si pensa al vero significato della responsabilità sociale. Un conto infatti è attenersi alla normativa sulla tutela del lavoro, la sicurezza e l’ambiente, un altro compiere iniziative nell’ambito del CSR. Questo avvalora l’idea che la dimensione etica dell’impresa è una componente importantissima per avere successo e fare business. E’ cioè un imperativo categorico della formula imprenditoriale delle aziende il fatto di aderire a precisi valori, perché questo porta ad avere migliori risultati in termini strettamente economici. Questi elementi quindi sono tutti valori aggiunti che vengono dati a un’impresa.
Quali sono le modalità pratiche attraverso cui si declina questa idea di impresa?
C’è una dimensione interna che deriva dalla cultura etica, e che è all’origine di trasparenza, solidarietà tra dipendenti, rettitudine, senso di appartenenza all’impresa che passi anche dalla gestione delle opportunità. Esiste inoltre una dimensione etica “esterna” che consiste nel fatto che le imprese si impegnino per avere ripercussioni positive nei confronti del sistema territorio. Milano e provincia da questo punto di vista rappresentano un esempio virtuoso.
Quali sono i veri motivi che spingono un imprenditore a impegnarsi nel CSR?
La dimensione etica di un’impresa è un valore aggiunto che non soddisfa solo le esigenze etiche, ma anche quelle economiche. Se non usciamo da questa contrapposizione, non riusciremo a sviluppare le dimensioni etiche dell’impresa. L’imbianchino che ha un codice etico attestato da un marchio, entra nella casa del cliente e quest’ultimo gliela può affidare in tutta tranquillità. Se si afferma al contrario che il codice etico è solo qualcosa di esortativo, ma non sono verificate delle condizioni per accreditare le imprese, si tratta soltanto di un’operazione di facciata priva di risultati concreti. E’ dunque importante che le aziende artigiane adottino un codice etico che poi si traduca in un marchio, permettendo così ai clienti di avere sicurezze e garanzie sul fatto che le loro attività avvenire secondo certi parametri.
Nonostante la crisi, il 74% degli imprenditori milanesi ha mantenuto i suoi investimenti nella responsabilità sociale. Che cosa dimostra secondo lei questo dato?
Dimostra che avere un investimento etico è conveniente, perché permette di creare relazioni più positive all’interno dell’impresa, maggiore fiducia da parte dei dipendenti, un rapporto più limpido tra domanda e offerta. Significa insomma che il bisogno di eticità non nasce soltanto dal bisogno di “essere buoni”, ma dal fatto che il consumatore avverte la necessità di certi elementi che lo soddisfino. Il lavoro di un imprenditore si colloca quindi a metà strada tra i valori eterni e assoluti e l’eticità concreta dell’imbianchino. Il mio obiettivo non è portare in basso i valori etici, ma sollevare in alto il lavoro degli imprenditori. Se noi vogliamo farli diventare elementi concreti, i valori etici devono essere fatti rientrare in una formula imprenditoriale che includa anche un ritorno in termini economici.
Quali saranno le conseguenze della crisi sul sistema di valori degli operatori economici?
Una situazione di crisi come quella attuale provoca normalmente delle spinte molto forti a entrare in una dimensione di mercato-giungla. La ricerca della Camera di commercio rivela al contrario che quello milanese si mantiene un mercato equilibrato, dove ci sono ancora dei valori di eticità, in grado di escludere la concezione diffusa secondo cui il mercato sarebbe sinonimo di “mors tua vita mea”. Ci troviamo insomma in una dimensione nella quale predomina ancora il rapporto di fiducia e di reciprocità e le relazioni non sono viste soltanto nella loro dimensione strumentale, ma hanno la funzione di trasmettere ideali che rappresentano un valore aggiunto rispetto alla confezione di marmellata.
Che cosa c’entra l’etica con la marmellata?
Teilhard de Chardin sosteneva che anche la marmellata ha un’anima. Personalmente ritengo che esagerasse, ma ci troveremo sempre di più in un mercato nel quale riusciremo a percepire che comprando una marmellata acquisto anche dei valori. Per esempio il fatto che il prodotto è a chilometro zero, che è un valore dal punto di vista dello sviluppo del territorio, che i frutti non sono stati raccolti attraverso lo sfruttamento minorile, ma rispettando la normativa sul lavoro, che la marmellata è trasportata in condizioni di temperatura che permettono di non modificare la sua composizione organolettica. In sintesi, la gestione etica delle imprese dà eticità ai propri prodotti che rappresentano quindi un valore aggiunto di successo perché la gente li riconosce.
(Pietro Vernizzi)