Adesso i fan di Roger Federer ne diranno di ogni: che il centrale era tutto contro, che la maratona in semifinale con Del Potro ha inciso, che il Re ha giocato al di sotto delle sue possibilità. Le tre asserzioni sono vere, ma non tengono conto della quarta e più importante: Andy Murray ha giocato una partita quasi perfetta, e l’oro olimpico che ha regalato alla Gran Bretagna (il primo da quando il tennis è tornato ai Giochi, nel 1988) l’ha meritato al di là di quanto Federer fosse stanco. 6-2, 6-1, 6-4 in un’ora e cinquantasei minuti: è tutto scritto qui, perchè dall’altra parte della rete c’era un signore che è stato capace di vincere 7 titoli qui a Wimbledon, 17 Slam e altri 58 tornei in carriera, e che è recordman di settimane al vertice della classifica ATP. Ma lo scozzese Murray ha dimostrato al mondo intero che la sconfitta bruciante di 28 giorni fa su questo stesso campo e contro lo stesso avversario gli ha insegnato qualcosa: soprattutto, a non abbassare la concentrazione nemmeno durante il minuto di riposo tra due game. Allora Andy aveva chiuso in lacrime, incapace di parlare perchè scosso dai singhiozzi per esserci andato vicino eppure così lontano. Già allora si era migliorato: alla terza finale di uno Slam, era riuscito a strappare un set, il primo, a Federer, prima di crollare sotto i colpi del Re che aveva fatto vedere di averne ancora di più. Oggi non è stato così, anche se il principio della partita poteva far pensare ad una conclusione analoga. Murray ha fatto il break nel quinto gioco, dopo che Federer aveva sprecato due palle dell’1-0 sul servizio dello scozzese. Il primo set è volato via sul 6-2 quando lo svizzero ha concesso il servizio all’avversario sul 2-5, ma tutti, forse anche i tifosi (ben più rumorosi di quanto siamo abituati a sentire ai Championships: anche cori da stadio, a più riprese), pensavano che fosse il prologo di un incontro lunghissimo: impossibile che Federer giocasse così male, che fosse in balia dell’avversario. Invece, al Re è andata anche peggio: la svolta è arrivata al terzo game del secondo set, con Murray che nel frattempo aveva strappato il servizio. Già sotto 2-0, Federer ha avuto la bellezza di sei palle break (di cui due in fila) per riaprire il discorso, ma il gioco in questione è stato una summa della partita di Roger, annichilito dall’avversario e troppo impreciso per pensare di poter rimontare: lo scozzese gli ha mangiato le opportunità di accorciare, poi è andato a chiudere sul 3-0. Come spesso accade, giochi di tale lunghezza possono essere devastanti per chi li perde. E’ stato così ancora una volta, anche se la vittima si chiamava Roger Federer: 4-0 Murray, poi 5-0, con una serie spaventosa di 9 game consecutivi, pur con il 51% di prime di servizio in campo. Il sergeto? Semplice: arrivare ovunque sul campo, respingere tutto e tirare vincenti come se dall’altra parte della rete ci fosse la macchina sparapalline. Federer ha avuto un guizzo vincendo il primo game del set, ma Murray ha impietosamente chiuso sul 6-1, non prima che lo svizzero sprecasse un’altra palla break che poteva in qualche modo rimetterlo in partita. Di fatto è finita lì, anche se nessuno ci credeva ancora. Hanno cominciato a farlo quando al quinto game del terzo parziale Murray è salito 5/8 nelle palle break, ha strappato il servizio a Roger ed è andato 3-2 e battuta. 4-2, poi Federer ha dovuto salvare il servizio (cavandosela da campione), ma il suo sogno dorato si è infranto pochi minuti più tardi, al secondo ace consecutivo di Murray. Il campo centrale, che aveva tremato sotto il rombo dei tifosi in almeno due occasioni precedentemente, ha accolto la vittoria del suo eroe quasi con rispetto…
… come se tutta l’attesa avesse svuotato il pubblico, che si è abbandonato a un lunghissimo applauso senza però quella furia selvaggia della semifinale contro Djokovic. Lo stesso Murray è riuscito a trattenere le lacrime, ha salutato Federer che è riuscito a far spuntare un sorriso sul volto: a Rio, se ci sarà, non avrà l’occasione che ha avuto oggi, perchè 35 anni sono tanti anche per una leggenda come lui. Andy invece ha scalato la tribuna e si è arrampicato ad abbracciare mamma Judy, papà Will, la fidanzata Kim Sears e Laura Robson, la diciottenne anglo-australiana che proprio in coppia con Murray giocherà la finale del doppio misto. Può stare tranquilla: se Andy è questo, l’oro non dovrebbe un grande problema. Lo scozzese vince dunque il primo grande trofeo della sua carriera. Ironia della sorte, era stato lo stesso Roger, un secondo prima di sollevare il settimo Championship della carriera, a far forza al disperato Andy: “Sono convinto, prima o poi vincerai un titolo dello Slam”. L’Olimpiade non lo è, ma siamo sicuri che vincere sul centrale di Wimbledon contro Federer valga meno di un Australian Open?
(Claudio Franceschini)