Caro direttore,
Una fase storica si è chiusa: la crisi internazionale, le difficoltà europee, i rischi di default italiano, la caduta del governo Berlusconi, l’implosione della “Seconda Repubblica”. Nel giro di pochi mesi, le nostre mappe concettuali, gli orizzonti delle nostre azioni, le prospettive delle nostre speranze ci ritornano profondamente trasformate. Nulla è più come prima.
È la storia, attraverso le singole volontà, che ci sospinge verso nuove sfide e nuove sintesi. Rimescolando rapidamente le carte.
È con questa chiave di lettura che leggo l’intervento di Franco Monaco Su Repubblica che ha seguito le dichiarazioni del card. Scola sui suoi rapporti con Cl.
Monaco dice: prima di voltar pagina, occorre dare un giudizio sul passato. In linea di principio, l’istanza è giusta: come sappiamo, infatti, la memoria infetta è causa di nuove infezioni. Per questo, siamo sempre chiamati a riflettere sulle nostre azioni. Su quello che avevamo desiderato essere e su quello che effettivamente siamo stati. Per capire che cosa non ha funzionato, i successi come le deviazioni. Si tratta di un lavoro faticoso, a volte molto duro. Nessuno ama vedere il riflesso distorto del proprio desiderio. E questo vale per chiunque di noi – singolo o associazione – ogni volta che, avendo agito, torniamo sui nostri passi. Specie quando una crisi ci spinge a cercare nuove piste, dato che le vecchie sembrano perdersi nella contraddizione.
Il Cardinale, mi pare, sia intervenuto con un diverso obiettivo. Venuto a Milano dove il movimento da cui proviene è più forte, la sua preoccupazione è quella di sfuggire a una identificazione aprioristica che farebbe il danno della Chiesa: non – come piacerebbe alla logica della comunicazione, che ama la contrapposizione e lo scontro – vescovo di una parte, ma di tutti.
E per far questo utilizza, non a caso, l’incontro annuale con gli organi di stampa, chiedendo loro di non usare lo stereotipo mentale che lo vorrebbe schierato da una parte.
A ben guardare, l’intervento del card. Scola altro non è che la riprova dell’accelerazione che, anche a questo livello, gli eventi hanno preso in questi ultimi mesi: solo un anno fa, a molti pareva impossibile che l’ex Patriarca di Venezia potesse sedere proprio sulla cattedra di Ambrogio dalla quale il card. Martini, come ricorda Monaco, aveva manifestato le sue preoccupazioni sui movimenti.
Ma, come era logico aspettarsi, questa nuova situazione si rivela una splendida occasione per aprire una nuova stagione. Almeno per tutti quelli che non camminano con la testa rivolta al passato.
A quale conclusione portano queste osservazioni?
A me sembra che il tempo che stiamo vivendo costituisca una straordinaria opportunità. Oggi, All’interno del variegato mondo cattolico, quelle distanze così forti che hanno segnato il periodo storico alle nostre spalle stanno cominciando a ridursi. Semplicemente perché le sfide con cui ci dobbiamo misurare sono diverse da quelle del passato e non possono semplicemente essere colte e lette con le categorie di vent’anni fa.
Lo dimostra, tra l’altro, anche Todi, dove per la prima volta dopo tanti anni, tutte le anime dell’associazionismo cattolico si sono ritrovate insieme, convocate lì, nella loro diversità, dalla storia. Mi piace pensare l’arrivo di Scola a Milano come un’altra occasione in questa stessa prospettiva.
Occorre rispettare la delicatezza di questo passaggio. Il processo ê ancora fase di gemmazione. Una gelata potrebbe interromperlo. Tanto più che non ci si muove verso la riedizione di qualcosa di già visto – una improbabile unità politica – ma verso la ricerca di una nuova forma di presenza pubblica che tutti insieme dovremo cercare di mettere a punto.
Ci sarà tempo e modo per tornare sul giudizio storico. Che come Monaco scrive, dovrà essere serio e coraggioso. E che dovrà coinvolgere tutte le componenti che sono state protagoniste, a vario titolo e in vario modo, di questi vent’anni. Non per dire che qualcuno ha vinto o a perso. Ma per comprendere gli errori e ricostruire le basi di un nuovo lavoro comune. Ci sarà tempo, appunto. Ma oggi è il momento di una riscoperta e di un reciproco riconoscimento. Che richiede accoglienza, delicatezza e lungimiranza.