Martedì il governo esaminerà la bozza dei programmi economico-finanziario (Def) e di riforme di medio-lungo termine (Pnr) la cui approvazione, concordata con la Commissione europea, entro il prossimo giugno è un atto obbligatorio per le euronazioni. In attesa dei dettagli, si può già commentare l’indirizzo di fondo e da questo derivare uno scenario: (a) tagli di spesa, limando gli eccessi e riducendo le inefficienze, tra i 32 e i 36 miliardi nel prossimo triennio; (b) riduzione delle tasse, ma minima; (c) obiettivo di ridurre il deficit allo 0,5% del Pil nel 2017; (d) incremento dell’avanzo primario che serve a ripagare ogni anno gli interessi sul debito pubblico (attorno agli 80 miliardi) fino al 5%.
In sostanza, c’è una forte continuità logica con la linea dei precedenti governi Monti e Letta: priorità al rispetto dei parametri di ordine contabile dell’Eurozona a scapito della stimolazione fiscale della crescita. C’è, tuttavia, una novità importante nell’impostazione del governo Renzi: più determinazione nel taglio della spesa e quindi più credibilità della previsione specifica. Lo scenario macro derivato da questa linea programmatica rende molto probabile una ripresa poca e lenta nel prossimo triennio. Da un lato, potrà soddisfare i requisiti di ordine europeo, peraltro fondamentali per mantenere l’affidabilità del debito e un basso costo di rifinanziamento, ma dall’altro non porterà a un riassorbimento sufficientemente rapido della disoccupazione, ancora crescente nel 2014 fino al 13% della forza lavoro, proiettandola verso un tasso endemico duraturo attorno al 10%.
Infatti, la crescita non verrà stimolata a sufficienza via detassazione e resterà, nel migliore dei casi, poco sopra l’1%. In sintesi, un destino di stagnazione: meglio di uno recessivo, ma insufficiente. Il governo farà molto rumore comunicativo per trasformare la stagnazione in un grande successo, così come sta cercando di far passare minimi tagli di spesa e tasse come grandi riforme. Tale rumore non è apprezzabile sul piano della consistenza tecnica, ma non per questo è irrilevante in quanto potrebbe dare agli italiani la sensazione che le cose andranno bene: l’effetto fiducia potrebbe trasferire più risparmio ai consumi e aumentare la velocità della ripresa del mercato interno, portando l’incremento del Pil oltre l’1,5% e la disoccupazione verso un più sostenibile 8% entro un triennio.
Questo è il meglio che possiamo aspettarci dalla linea programmatica detta: stagnazione sostenibile. Per alcuni è accettabile. Per me, che vedo negli scenari la possibilità di mandare l‘Italia in boom se governata diversamente, non lo è.