Quello che si fa a scuola è un lavoro, quando ha il volto di chi si applica e si spende per uno scopo, traendone soddisfazione. Nella scuola media lo si esperimenta divenendo sempre più consapevoli di sé e della realtà mediante la conoscenza, per esempio, in un percorso di orientamento.
Una riflessione sul rapporto tra studio e lavoro è scaturita quest’anno, nella nostra scuola media, dal percorso sull’orientamento. Ci siamo chiesti se lungo il cammino di questi tre anni si mantenga vivo nei ragazzi il desiderio di conoscere e di imparare, perché questa ci sembra una premessa fondamentale, e comprendiamo che ciò è possibile solo attraverso la testimonianza di insegnanti appassionati alla realtà, che sappiano accompagnare i propri alunni (guidandoli attraverso passi ben precisi, ma stimando il loro pensiero e valorizzando i loro tentativi) in un percorso di conoscenza e di scoperta che li coinvolga integralmente. Possiamo allora affermare che ciò che si fa a scuola è un lavoro, ha la dignità del lavoro, se implica l’impegnarsi e lo spendersi per uno scopo, traendone soddisfazione, per crescere e divenire sempre più consapevoli di sé e della realtà.
Risorse per un lavoro ben fatto
Nella scuola media, proprio attraverso l’impegno e la serietà di un “lavoro ben fatto”, dentro una proposta significativa, il cui orizzonte di senso rende accettabile la fatica, i ragazzi acquisiscono un metodo. Imparano, ad esempio, a organizzare il loro tempo in modo più consapevole, iniziando ad affrontare testi di complessità crescente, che sviluppano il loro cuore e la loro ragione, vivono l’ora di lezione in modo sempre più partecipe, attento, critico. Ma la percezione che lo studio è un lavoro, che ha un significato e un’utilità per il soggetto, passa anche attraverso una pratica “sana” della valutazione, che sappia dar valore al talento di ciascuno, indichi i passi fatti e quelli da fare, favorisca l’autovalutazione.
Un altro aspetto richiama l’idea di lavoro a scuola. Sono le esperienze di “laboratorio” che coinvolgono il soggetto nella realizzazione e nella presentazione di un progetto, all’interno dei percorsi curricolari. Certamente l’assegnazione di compiti complessi, legati a un bisogno concreto (come quello di ideare scaffali adatti alle esigenze di una classe, osservando, operando confronti, misurando, riducendo in scala, eseguendo proiezioni e assonometrie …) motiva e favorisce l’acquisizione di competenze. Anche la proposta di botteghe e laboratori facoltativi, in orario pomeridiano, può costituire ulteriore occasione di approfondimento, espressività, sviluppo delle capacità progettuali e operative. Tutte queste esperienze possono, insomma, svelare talenti insospettati, aiutare i ragazzi a cogliersi in azione in contesti diversi e permettere agli adulti di guardarli sotto una luce nuova.
Scelta della scuola superiore
Questo introduce l’aspetto da cui siamo partiti: l’orientamento. Mi soffermo su questo, perché proprio nell’accompagnare i ragazzi e le famiglie nella scelta della scuola superiore ho visto emergere pregiudizi e astrattezze che finivano per ridurre i concetti stessi di scuola e di lavoro. La tendenza diffusa a vedere in alcuni percorsi liceali l’unica strada possibile al di là degli interessi e delle attitudini dei ragazzi, o a ritenere svilente un cammino di formazione professionale impone una riflessione e la scuola media, senza sostituirsi alle famiglie, può offrire, nel triennio, occasioni per una verifica. Essa lo fa conducendo i ragazzi ad una consapevolezza di sé, al riconoscimento di interessi, attitudini, capacità, lo fa promuovendo sempre l’emergere della domanda: “Che persona voglio essere?” dietro all’interrogativo: “Che cosa voglio fare?”. Lo fa, nel lavoro quotidiano, attraverso l’incontro con le vite di grandi uomini, attraverso il lavoro di scrittura, che conduce gli alunni alla costruzione della propria autobiografia, lo fa approfondendo le peculiarità delle discipline, ma anche creando occasioni ad hoc, come il dialogo con studenti delle scuole superiori, colloqui, interviste o questionari.
È importante che in questa riflessione siano coinvolti i genitori, sia attraverso incontri pubblici, in cui condividere criteri generali, sia attraverso colloqui, in cui confrontarsi sul percorso di ogni alunno (può essere utile anche raccogliere in una scheda le osservazioni di tutti i soggetti coinvolti: studenti, insegnanti, famiglie). E’ fondamentale comunque che sia dato credito, dentro un realismo e una ragionevolezza, al desiderio dei ragazzi, chiamati a scegliere per la prima volta il proprio percorso scolastico.
Quale lavoro?
Un’ultima annotazione. Proprio lavorando sull’orientamento, leggendo alcuni loro testi, mi ha colpito la scarsa percezione che i ragazzi sembrano avere del mondo del lavoro e, più ancora, la loro scarsa consapevolezza che dietro a prodotti e processi ci sono delle persone, che esprimono passione e talento. Molti alunni scrivono che aspirano a un lavoro in cui si guadagni molto: un dato della crisi che respirano? Modelli culturali imperanti? “Pagato” vuol dire “ricompensato”, ma qual è effettivamente la ricompensa nel lavoro? Ritengo che la scuola debba offrire occasioni di dialogo su questi temi e lo possa fare sia attraverso l’esperienza quotidiana di apprendimento, sia creando occasioni di contatto con la realtà del lavoro, proponendo, ad esempio, testimonianze di adulti che raccontino la propria professione, progettando visite presso realtà produttive, centri di ricerca o di formazione professionale. Proprio per le sue caratteristiche peculiari, la secondaria di primo grado può insomma, favorire nei suoi studenti una attitudine al lavoro, ma anche comunicare e testimoniare una concezione del lavoro che ne esprima la dimensione soggettiva, fonte della sua dignità e del suo valore.