Nei giorni scorsi, in commissione decentramento del consiglio di zona 9, si è parlato di una proposta di delibera consiliare con oggetto la modifica di alcuni articoli del regolamento comunale di Milano. Nello specifico le modifiche sono il risultato del recepimento della normativa nazionale 215 del 2012 recante “Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e negli enti regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni”. I consigli di zona sul punto possono solo esprimere un parere non vincolante ai sensi dell’art. 29.1 del regolamento comunale sul decentramento territoriale, tuttavia il tema dà lo spunto per alcune riflessioni di carattere generale su un tema di grande importanza e attualità.
In applicazione di questa legge il comune di Milano ha proposto di innovare l’art. 5.4 del Regolamento prevedendo che “…il Comune garantisce che nella Giunta entrambi i generi siano rappresentati in misura paritaria; negli organi collegiali non elettivi, nonché degli enti, aziende ed istituzioni dipendenti deve essere garantito l’equilibrio di genere”. In sostanza ci deve essere lo stesso numero di uomini e di donne. Ritengo che una tale previsione tradisca le stesse intenzioni del legislatore nazionale e non garantisca affatto una parità di genere uomo-donna per una serie di ragioni che vado ad esporre.
La parità di rappresentanza uomo donna nelle istituzioni non la si garantisce imponendo uno stesso numero di membri di genere differente ma garantendo a tutti le stesse possibilità di partenza, fornendo a tutti gli stessi strumenti per raggiungere livelli apicali della PA. Sarà poi la concorrenza e soprattutto il merito che valorizzeranno chi effettivamente ha qualcosa in più, uomo o donna che sia.
Abbiamo illustri esempi di donne sindaco di importanti città, presidenti di Regioni, presidenti della Camera, Ministri della Repubblica, presidenti di sindacati o associazioni di categoria, giudici e pubblici ministeri ecc… che hanno raggiunto quei livelli perché valgono, non perché donne. Quanto sarebbe stato umiliante invece, nei confronti delle stesse, se avessero raggiunto quei livelli solo perché appartenenti a un genere?
Abbiamo altresì numerosi esempi di donne che ricoprono e hanno ricoperto importanti ruoli in politica o in importanti enti pubblici che, per usare un eufemismo, non sono o non sono state all’altezza del ruolo ottenuto ma che hanno ottenuto il posto solo perché mogli, figli o amanti illustri.
Il punto non è quindi che ci siano donne nelle istituzioni ma che ci siano persone di valore, ma la legge così formulata e il regolamento comunale non vanno in questa direzione. Il regolamento comunale così come concepito è inoltre discriminatorio nei confronti delle donne stesse. Infatti se ci fosse un maggior numero di donne che meritano a ricoprire ruoli di giunta rispetto agli uomini il regolamento vincolerebbe comunque ad avere uno stesso numero di uomini e di donne, e viceversa. Ciò a discapito di una corretta gestione della cosa pubblica gestita non da persone che ricoprono ruoli per la loro competenza e capacità ma in quanto rappresentanti di genere.
Vogliamo creare un’effettiva parità uomini donne? Incominciamo a trattare le donne come persone che possono ricoprire ruoli di prestigio nella società per il loro valore e non per imposizione del legislatore nazionale. Non trattiamole come un genere inferiore che necessitano dell’aiutano per ricoprire ruoli che altrimenti non ricoprirebbero mai. Diamo loro le stesse possibilità di concorrere con gli uomini a tutti i livelli e poi il merito valorizzerà chi ha quel quid in più che può essere un valore aggiunto per tutta la società. L’unica battaglia che vale la pena percorrere a tutti i livelli della pubblica amministrazione è sul merito, il resto è pura ideologia.
(Federico Illuzzi)